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La storia di una schiava - 1° parte

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Aragorn
view post Posted on 19/4/2009, 16:04




Era ora. Era giunto il momento di fare il grande passo. I miei pensieri, le mie immagini corrono tutte alla prima volta che persi allo scarabeo.
“Non ci posso credere….accettare di diventare una schiava solo per aver perso in un gioco”…Un sorriso mi sale alle labbra, chiudo gli occhi e scuoto la testa come per negare tutto, per dire che forse è tutta immaginazione la mia, e che ora non mi trovo su quel treno che va diretto a Roma, che va verso il Padrone.
Mi si accavallano un mare di paure in un oceano di pensieri mentre il paesaggio fuori dal finestrino scorre rapido, forse troppo.
Il Padrone, il Signore…colui a cui ho obbedito, implorato, e supplicato, colui a cui sono rimasta fedele come cagna, come schiava, come oggetto.
Lui, il Padrone, unico essere che ha ogni diritto su di me, piccolo granello di sabbia sulla spiaggia.
E ora dopo mesi per la prima volta lo vedrò. Non sarò più una schiava semi-virtuale, varcherò quella soglia che ho varcato tante volte nella mia mente, e che si è portata dietro mille paure con tutti i suoi se, i suoi ma.
Il paesaggio continua a scorrere velocemente insieme ai miei pensieri, ad un tratto sbarro gli occhi ad un pensiero che mi fa quasi paura dalla forza in cui si è insinuato nella mia testa: “ma se non dovessi riuscirci? Se quando gli sono davanti e mi ordina di inginocchiarmi non lo facessi? E se dovessi scappare appena lo vedo? O anche solo…..ma se non fossi di suo gradimento per qualche motivo?”
Davanti a queste domande, chiudo gli occhi e li riapro guardando le mani giunte in grembo. Osservo le unghie, lunghe e ben curate, mi perdo nel guardarle assorta, e stranamente non penso a nulla, come se un forte vento avesse disperso ogni mio pensiero, ogni mia incertezza, ogni mia paura.
Senza rendermene conto sollevo una mano e mi tocco il collo, lo accarezzo ma ancora non mi basta, ho la necessità fisica e mentale di sentire la pelle e il cuoio sotto le dita. Mi allento il foulard, e inspiro appena i polpastrelli toccano il collare, avverto la sua forza, la sua fermezza sulla mia pelle come se mi volesse dire che lui è lì al di là delle mie paure, lui è lì fermo, saldo sul mio collo.
Con le unghiette picchietto sull’anello al centro, è un rumore che mi rilassa, il suo picchiettio continuo mi calma.
L’altoparlante gracchia. Capisco solo che siamo arrivati a Roma. “Sono già arrivata, ma come? Così in fretta? Ma sono già trascorse quattro ore!? Perché ha fatto così in fretta?” Mi riallaccio il foulard, e come una donna civettuola mi controllo allo specchio di essere in ordine. La mente è vuota, non ho davvero più pensieri, sono lì, sono arrivata e in stazione ho il Padrone che mi attende. Basta questo, ed è quello che importa. Il treno si è fermato, mi metto in coda per scendere, il piazzale è gremito di viaggiatori “Mamma mia quanta gente! Non lo troverò mai!” Seguo la folla nell’unica direzione possibile, sembra assurdo ma sono concentrata sul ticchettio dei miei stivali che sento ad ogni passo, che si distingue dagli altri, suono che si modifica e diventano parole nella mia testa…!. “Tu chi sei? Cosa sei? Di chi sei?” …..Sono una pazza ad avere in testa le sue domande che mi fa nei miei momenti di sconforto.
Controllo a destra e a sinistra, il Padrone mi aspetta al bar di fianco al giornalaio. Eccolo! Mi fermo solo per una frazione di secondo a qualche metro dal bar. Mi al liscio la camicetta con un mano, faccio un grosso sospiro ed entro.
Mi guardo intorno, c’è troppa gente.. come da accordi ordino un succo di frutta alla pesca, non so dove appoggiare il bicchiere, non c’è un tavolino vuoto, non un angolo in cui ci si possa stare un attimino, anche solo per cercare il cellulare e provare a chiamare. Appoggio il troller contro la parete, sento squillare il cellulare, mi assale il panico, ma è possibile che non lo trovo in una borsa così piccola?? “Dove sei dai salta fuori, e muoviti! Ecco ha smesso di squillare, uff ma perché?” Mentre sto maledicendo al fatto che inventano cellulari sempre più piccoli e leggeri, sento la sua inconfondibile voce “Ho fame ed è tardi, e io non ho ancora pranzato, e so che nemmeno tu hai mangiato. Vieni andiamo”.
Come da risposta ad un richiamo inconfondibile rispondo “si Signore” senza nemmeno alzare lo sguardo dalla borsetta. Sollevo il capo e vedo giusto in tempo la sua schiena che va verso l’uscita del bar. Afferro il troller e inseguo il Padrone a passo spedito, la signora a fianco a me mi guarda tra lo stupore e lo sdegno, ma cosa ho fatto? Mentre sono dietro di qualche passo al Padrone mi controllo che la camicetta sia abbottonata, e la gonna in ordine……si tutto bene, chissà cosa aveva da guardare in quel modo la signora….mah.
Seguo la sua schiena, il cuore mi batte impazzito, che emozione incredibile…indicibile! Non si sembra vero, trattengo a stento un sorrisino da ebete, oddio sono qui. Basta essere una mezza schiava, affrontare ordini e punizioni accontentandomi solo della sua voce al cellulare, basta domandarsi se in fondo sono davvero una schiava o una sciocca che gioca a farlo, basta tutto ciò!
Sento nascere in me una sicurezza di quello che sono, una forza che nasce dal mio animo, dalla mia essenza, la consapevolezza che sono domande stupide quelle che mi pongo perché in sostanza posso solo mascherare per codardia la mia natura, la mia essenza…e io sono una schiava e nulla può modificare questo dato di fatto. Un suo sms mi salta dolcemente in mente: è come un luna park, la maggior parte della gente si ferma al tiro al bersaglio, pensando di aver tutto solo perché hanno fatto centro…altri… e sono pochi.. li guardano sorridendo recandosi verso l’ottovolante o le montagne russe, là dove il cuore batte forte e sembra arrivarti in gola. Tu e solo tu puoi sentire cosa essere e respirare la tua essenza”.
Si è vero, io e solo io posso respirarla, ma posso anche condividerla e devo farlo se non voglio scivolare in un baratro.
Ops, siamo arrivati alla macchina, ma perché sono sempre avvolta da mille pensieri? Non è possibile….Sale in macchina senza degnarmi di uno sguardo, “muoviti Katia”, salgo immediatamente e appoggio il troller per terra tra le gambe. Il ginocchio sinistro è schiacciato contro il cambio, e mentre sollevo lo sguardo rendendomi conto della cavolata fatta sento la sua voce severa: “allora sei proprio uno stupido animale! Metti la valigia nel portabagagli. Sbrigati” Mi maledico mentalmente, ma come ho potuto fare un errore così grossolano, e poi così a gambe aperte come una donna di strada, con la gonna sollevata quasi del tutto dal manico del troller…stupida stupida stupida davvero!
Mi muovo il più in fretta possibile, scendo dalla macchina e metto il troller nel portabagagli e mentre risalgo sollevo il dietro della gonna mettendomi a sedere con le gambe leggermente aperte. Il suo atteggiamento cambia immediatamente, è molto espansivo, mi fa domande sul viaggio, mi parla dicendomi che mi porterà a fare shopping nel nuovo ed immenso centro commerciale a Fiumicino, fa qualche battuta simpatica facendomi ridere di gusto e rilassare.
In cuor mio lo ringrazio per avermi tranquillizzata, mi sento molto più a mio agio; ma nonostante tutto non ho ancora avuto il coraggio o la forza di guardarlo in viso, di scrutargli gli occhi….ma per cosa poi? Una schiava non può fissare in volto il suo Padrone, deve sempre tenere gli occhi bassi in segno di devozione. Katia non te ne dimenticare, è importante non fare l’errore di prima…
Arriviamo al Mac Donald, parcheggia l’auto in un punto molto trafficato, la sua decisione di portarmi qui mi meraviglia molto anche perché da come lo conosco non è persona che porta qualcuno a mangiare un hamburger, ovviamente non faccio parola dei miei pensieri.
Mi slaccio la cintura di sicurezza mentre rispondo ad una domanda che mi aveva fatto qualche secondo prima, ma vengo interrotta dal suo “tu stai qui, aspetta in macchina. Gli animali non possono entrare dal Mac Donald”
La sua voce è cambiata, è di nuovo severa e molto autoritaria; ne segue un breve scambio di battute. Al suo ordine rispondo con un sussurro di voce “si Padrone”.
E lui: “solleva la gonna”. Le mie mani scivolano lentamente sul tessuto, le dita afferrano l’orlo e lo spostano di qualche centimetro.
“solleva ancora!” continuo a sollevare la gonna, lentamente, molto lentamente aspettandomi un basta così da un momento all’altro……un basta che ancora non odo. Intravedo la fascia di pizzo dell’autoreggente e mi fermo…”non ho detto di fermarti, solleva stupida cagna!”…chiudo gli occhi e continuo ad alzare la gonna, tanto è inutile aprirli, so perfettamente a che punto si trova.
“Ora metti le mani dietro alla schiena. Brava la mia cagnolina. Adesso aspetta qui, e fai la brava.” A quelle parole alzo il viso e apro gli occhi per guardarlo, lui legge tutta la mia frustrazione, la mia paura del passato.
Smetto di guardarlo nel momento in cui chiude la portiera, abbasso lo sguardo per confermare ciò che già so. La fascia di pizzo degli autoreggenti è completamente scoperta, la gonna è arricciata al limite delle cosce, sull’inguine, e le gambe leggermente divaricate sono in mostra sotto lo sguardo dei passanti.
Dentro di me la mia paura è alta quanto la mia rabbia, ma porca paletta perché me lo ha ordinato sapendo che ho una paura incredibile di essere mostrata, anche se indirettamente ora mi sto mostrando….…forza katia sei in chiusa in macchina e il Padrone torna subito, vedrai che è questione di qualche minuto. Ti sta solo mettendo alla prova….. Ma perché non sono mai stata brava ad autoconvincermi?! Osservo i passanti, hanno tutti fretta e non fanno caso a me, la maggior parte sono studenti appena usciti da scuola, ma anche adulti in pausa pranzo.
Sto fissando l’entrata del locale per vedere se sta uscendo il Padrone, ma nulla, non si vede ancora. Sussulto allo sbattere di una portiera, mi volto sulla mia destra….il respiro rallenta.
Un ragazzo sulla trentina è appena sceso dalla sua auto, sta osservando dentro la macchina, sul sedile anteriore...mi sta fissando le gambe.
Sento chiudersi un’altra portiera, il respiro diventa breve e profondo, sollevo più rapidamente il seno proteso all’infuori; seno che in questo momento è sotto osservazione da due occhi sconosciuti.
“Ciao, come mai sei in macchina tutta sola? Ti va di mangiare qualcosa insieme a noi?” Viene chiamato dal suo amico, ma questo gli fa un cenno con la mano di raggiungerlo. “Allora che fai? Vieni? O stai aspettando qualcuno?”
Ti prego Padrone arriva, ti prego…….
“No grazie, rimango qui” – “Come ti chiami? Io mi chiamo Alberto e lui è Carlo” Oddio mi manca l’aria…. ma perché non se ne vanno? Non hanno fame?
Non rispondo sperando che se ne vadano, e mi lascino in pace.
Il ragazzo che si chiama Carlo parla all’amico in modo che io possa sentire: “Dai andiamo a mangiare, lasciala perdere. Deve essere una puttana, non vedi come ha sollevata la gonna? Si vede che questa notte ci ha dato abbastanza se a quest’ora le fuma ancora…..” Scoppia una risata. Fisso il cruscotto davanti a me senza vederlo. “Si dai andiamo a mangiare, ma se quando torniamo è ancora qua, me la prendo e la ripasso per bene. Così non le basterà stare a gambe aperte per raffreddarsela..” Un’altra risata, questa volta piena di commenti e di ipotesi, non mi accorgo che si stanno allontanando. Sono intenta a fissare il nulla, vedo il buio, tutto nero. Le risate che sentivo prima sono diventate sghignazzi di altri due ragazzi, ma questa volta giovani, appena maggiorenni.
Le mani, quante mani mi stanno toccando, mani che si infilano nella camicia, mi toccano, mi tengono ferma il viso……oddio non respiro la lingua mi sta soffocando, non riesco a respirare con il naso, il bacio mi fa mancare l’aria.
Mi agito, cerco di muovermi, di scalciare, di spostare il peso che mi tiene bloccata sull’altro ragazzo.
Le lacrime scendono calde sul viso, lo bagnano proprio come stanno facendo ora…ora che sono dentro quella macchina….ora che sto scrivendo la mia storia.. per il semplice motivo che le vecchie paure si legano alle nuove, sono paure che si allacciano e danzano insieme sul pavimento dell’anima…..
Mi ridesto con un urlo spaventato appena sento sbattere nuovamente la portiera, riportandomi alla realtà, non mi sono nemmeno accorta che l’aveva aperta.
Lo guardo con gli occhi di una cerbiatta impaurita, occhi che lo ringraziano per essere tornato, occhi pieni di lacrime di dolore misto alla contentezza del suo ritorno. Mi osserva dritto negli occhi, non c’è bisogno di dire nulla, come al solito mi sta leggendo l’anima e non posso nascondergli niente.
“Tutto bene piccolina?” Strascicando le parole “s-si Padrone. Ora si”
“Ho davvero fame” controlla l’ora sul cruscotto “sono quasi le due. E’ tardi andiamo” Non dico nulla, vorrei solo asciugarmi il viso, ma non oso muovere un muscolo. Come se mi leggesse nel pensiero nuovamente..”mettiti pure comoda e abbassa la gonna. Sei stata brava, molto brava” con un sussurro di voce ..“Grazie Padrone”. Apro la borsa e prendendo un fazzoletto mi asciugo le lacrime.
Il Padrone inizia a parlare, e a scherzare come se nulla fosse successo e in poco tempo mi ritrovo anche io a ridere alle sue battute.
Mi riempie di domande, non sono dirette ad un tema specifico ma sono generalizzate, ma che comunque hanno bisogno di una risposa articolata, facendomi rilassare. E’ da un po’ che siamo in macchina, mentre ascolto il Padrone osservo la città per quel poco che è concesso di vedere per chi è in auto, lui sempre presente se ne accorge, e inizia a dirmi i nomi dei monumenti che superiamo. Le case iniziano a diradarsi facendo spazio a ville nascoste da alberi o siepi molto alte, non nascondo la mia curiosità al Padrone “Signore, stiamo andando fuori Roma?” “No, siamo ancora verso il centro della città. La strada che stiamo percorrendo è l’Appia e tra qualche minuto siamo arrivati a destinazione. Ti porto a mangiare in un ristorante molto bello e di classe”. Non resisto nel fare la battuta “Signore, ma io posso entrare, oppure mangiamo fuori all’aperto?” Lui ride “So che ti piacerebbe mangiare sul prato, ma pranzeremo dentro. Vengo spesso qui e vedrai che ti fanno entrare senza problema…” ride nuovamente. Con una leggera punta rispondo “bene Padrone, perché sono un po’ stanchina per combattere con qualche cane solo per poter non divedere la ciotola” “lo faccio solo perché non voglio che rovinano la mia cagna, altrimenti dopo io che faccio?” ride di gusto alla sua battuta mentre io un tantino risentita arriccio il naso. In effetti siamo già a destinazione, superiamo un grandissimo cancello e ci addentriamo lungo il viale.
Il vialetto è costeggiato da ambedue le parti da bellissime palme, e una volta terminato riusciamo a parcheggiare non lontano dall’entrata al ristorante.
La villa è bellissima, e circondato da questo immenso parco ed è molto suggestiva. Scendiamo dall’auto, non resisto nel non trattenermi ad osservarmi intorno… “Katia vieni, andiamo” senza rispondere lo raggiungo, saliamo qualche gradino e superiamo le colonne.
Rimango dietro di lui sempre di un passo o due, oltrepassiamo il vestibolo e rimango incantata nel vedere tanta arte e bellezza.
Entriamo. Il Padrone saluta con familiarità il proprietario del locale, il quale dopo aver detto che il tavolo prenotato è pronto, ci fa accompagnare da un cameriere; ci dirigiamo in un lungo un corridoio, saliamo quasi una decina di gradini ed entriamo in una saletta.
Al centro si trova un braciere romano con un diametro di quasi due metri, i colori predominanti sono rosso e mattone ed insieme ad alcune colonne presenti nella sala creerebbe un’atmosfera d’altri tempi, se non fosse per i tre tavoli occupati da persone ben vestite. Entriamo nella saletta, il tavolo a noi riservato si trova sulla destra, vicino al muro; prima di sedermi riesco a vedere che non poco lontano dal tavolo in cui siamo seduti c’è un piccolo corridoio che porta in un’altra e piccola saletta però questa volta privata, e davanti all’entrata ci sono due arazzi rossi tirati ai due lati per consentire il passaggio.
“Si mangia molto bene qui, e ci vengo molto spesso per i pranzi di lavoro…sai un bel ristorante in alcuni casi fa colpo”, con un sorriso raggiante rispondo “Padrone ma è bellissimo qui, grazie per avermici portata”.
Il tavolo è apparecchiato con molta cura e raffinatezza, sto osservando lo splendido candelabro in simil bronzo quando ritorna il cameriere a prendere l’ordinazione. Con fare sbrigativo ma sempre educato “come primo Risotto al tartufo, per secondo straccetti al tartufo e come contorno dell’insalata mista; il tutto per due. Da bere porta del Vinello di Montalcino e dell’acqua naturale. Ne basta una bottiglia” controlla l’ora sul suo orologio e facendo una smorfia aggiunge “sono in ritardo è ho poco tempo a disposizione, possiamo avere il tutto nel minor tempo possibile?” il Padrone ringrazia dopo che il cameriere gli risponde di si. Continuo a guardarmi intorno, ma questa volta per cercare una toilette e non solo per darmi una rinfrescata, però non trovo nulla.
La mia attenzione si rivolge immediatamente al Padrone, non vorrei incorrere in un altro grossolano errore; lui prende il cellulare dalla tasca e si scusa perché deve fare urgentemente una telefonata di lavoro.
Colgo immediatamente l’occasione “Padrone vorrei chiederle il permesso per poter andare alla toilette” “cosa devi fare?” “vorrei darmi un sistemata Padrone, è da questa mattina presto che sono in treno” “stupida non volevo sapere il motivo per cui ci vai, ma voglio sapere se sai cosa devi fare una volta che ti sei chiusa in bagno!” “scusi Padrone, mi perdoni. Si so cosa devo fare”
“bene, molto bene” “allora mi concede il permesso di andare Padrone?”
“si, puoi andare. Trovi il bagno sulla destra dopo aver sceso le scale che hai fatto prima.” Chino il capo toccando con il mento appena al di sotto del collo in segno di ringraziamento, e mi alzo dalla sedia prendendo la borsa.
Mi dirigo verso le scale, il suono dei miei tacchi sembra che rimbombino nella sala e sui gradini di marmo, li scendo con la massima calma anche se quello che vorrei è poter camminare a passo spedito. Ecco, qui è il bagno; abbasso la maniglia ed entro.
Il bagno come bellezza non è da meno dal resto del ristorante, rimiro la mia immagine mentre avanzo e faccio un’urletto di spavento quando mi accorgo che non sono da sola nel bagno.
Ero talmente soprappensiero che non mi sono accorta della presenza della signora delle pulizie, lei si scusa immediatamente per avermi spaventata, “la prego sono io che dovrei scusarmi per aver urlato inutilmente ma ero soprappensiero e non mi sono accorta di non esser sola” la signora della pulizie con un marcato accento dice che comunque ha appena finito il suo lavoro e mi saluta.
Ricambio il suo saluto, e una volta uscita mi guardo con attenzione di nuovo allo specchio. Si vede che ho l’aria stanca, mi passo le mani tra i capelli per ravvivarli un po’, ma è solo un’inutile palliativo.
Apro la borsa e arriccio il naso, non ho molto ma almeno mi posso rifare il trucco dopo essermi data una lavata al viso….lavata che confesso ne ho proprio bisogno.
Le mani giunte a cucchiaio sciacquano il viso varie volte, la sensazione dell’acqua fresca sulla pelle mi ridona un po’ di quell’ energia persa a causa della stanchezza. Me lo asciugo tamponando la pelle con i fazzoletti di carta che ho nella borsa, devo sbrigarmi! Non posso stare un’eternità nel bagno.
Mi trucco velocemente, sorrido appena penso che almeno ora non ho l’aria di una cagnolina randagia. Entro nella parte della toilette più riservata, chiudo a chiave e richiamo il numero del Padrone sul cellulare.
Sento uno, due, tre squilli ma lui non risponde, piego il cellulare in due chiudendolo e lo infilo nella borsa. Mi sollevo la gonna fino in vita, le dita afferrano la stoffa del perizoma e lo abbasso fino alle ginocchia, mi posiziono sopra al water e….sento la canzone delle tatu, mi sta squillando il telefono.
Rispondo immediatamente senza nemmeno guardare il numero, non ho bisogno di sapere chi è “hai già fatto pipì?” “no Padrone” “bene, allora falla senza togliere il peri” alle sue parole perdo un battito “ma Padrone, io..” “schiaffeggiati!” chiudo gli occhi mi schiaffeggio sulla guancia destra “più forte, non ho sentito!” lo rifaccio nuovamente, ma questa volta mi sfugge un piccolo lamento di dolore
“se ti do un ordine, tu cosa devi fare?” “obbedire Padrone” “e allora obbedisci cagna! Senza replicare!”. Con il cellulare premuto contro l’orecchio dalla spalla, mi risollevo il perizoma lentamente rimettendolo a posto; soffro al solo pensiero di dover abbandonare il perizoma nel cestino, sigh proprio quel perizoma, è uno dei miei preferiti, ma di certo non posso andare in giro tenendomelo nella borsetta bagnato di urina!
Mi siedo sulla carta che ho messo come protezione sul water e inizia la condanna a morte di quel bellissimo perizoma blu cobalto.
“molto bene piccolina. Sbottona la camicia ora” “Si, Padrone”.
Subito dopo la mano si porta sulla camicetta, slaccio il primo bottone, mostrando una scollatura generosa; il secondo, mettendo in evidenza le rotondità del seno; poi lentamente anche il terzo bottone scoprendo il reggiseno color cobalto, ed infine il quarto, liberando il pancino dall’indumento.
“Fatto Padrone” “toccati il seno, prendi il capezzolo tra le dita e tiralo” eseguo ogni suo volere senza oppormi, sola in quel bagno, con lui che mi dice cosa devo fare a pochi metri da me, seduto ad un tavolo di un bellissimo ristorante in attesa delle portate. Non mi importa nulla, è giusto che sia così, sono il suo oggetto e lui può fare ciò che desidera di me.
Chiudo la mente, incateno i miei pensieri dietro ad una portone e ne apro un altro liberando così le mie sensazioni, respirandole, toccandole.
La mano scivola sul seno morbido, si infila nel pizzo del reggiseno accarezzando tutta la rotondità, lo libero dalla costrizione del tessuto, abbasso lo sguardo, il capezzolo turgido e scuro si erige sulla carne morbida.
Pollice e indice lo afferrano e iniziano a tirarlo, il dolore è sopportabile ma lui come se lo sapesse, come se lo sentisse “ti ho detto di tirare. Tira ancora” mi mordo il labbro per trattenere il dolore ma non è così per il gemito.
“Bene, molto bene. Di chi sei?” “Sua Padrone” “Che cosa sei” “Sono la sua schiava, una lurida cagna, una serva, una troia e un giocattolo da usare come lei desidera” “Allora posso fare qualsiasi cosa di te?” “si Padrone” “e allora toccati, toccati il peri bagnato”.
Le dita tremanti scivolano sicure sul pancino, carezzano la gonna arricciata in vita e scendono incontrando il pizzo asciutto.
Senza nemmeno aspettare di ricevere l’ordine, passo il palmo della mano sull’intimo intriso di urina, non ho bisogno di sapere il volere del Padrone perché so come mi devo comportare, so cosa si aspetta da me e non voglio deluderlo.
“Stai passando il palmo della mano vero?” con gli occhi chiusi assaporo sensazioni conosciute, forti, sensazioni che preludono suoni di una musica che il mio essere conosce, che il mio corpo anela, che la parte passionale di me vuole liberare per volare in alto, sopra le cime delle sequoie come un aquilone stretto agli artigli di un’aquila. Aquila che la guida, che la conduce sopra ogni cosa, lasciando in basso il senso comune della vita, della quotidianità facendola sentire quasi un’eletta, un oggetto diverso dalla comune massa che ci circonda.
Rispondo con un leggero mugolio, le dita ora sicure sfregano contro la piccola perla del piacere “toccati. Fammi sentire come sei desiderosa. Katia ma sei così troia che ti tocchi nel bagno di un ristorante?” “mmm s-si Padrone”
Mi alzo in piedi, appoggio la schiena contro il muro, sollevo un piede ponendolo sul water, il collo è piegato sulla sinistra e tiene fermo il telefono sulla spalla, mi fa male, il collo mi fa tremendamente male, perché?
Da sola mi rendo conto che la visione che sto dando è proprio quella di una troia in calore che si tocca nel bagno, arrido per questa immagine vista dal di fuori dal mio corpo. “Sbrigati troia, toccati.” Continuo a toccarmi, il respiro si fa più lento e più profondo, non mi accorgo del cigolare della porta, mi blocco di colpo appena sento la maniglia che si abbassa e lo scatto della porta del bagno in cui mi trovo che si ferma perché bloccata. Il respiro è mozzato in gola mentre le voci di due donne si fanno largo tra le nebbie del desiderio.
Sempre molto attento, il Padrone si accorge che qualcosa non va “non sei più sola vero?” rispondo con un breve “mmh” “ti ho detto di fermarti? Continua.”
La reazione è immediata appena le dita ricominciano a muoversi, maledetto corpo recettivo! Mi accorgo che la piccola perla che stuzzicavo prima ora è gonfia, dura e molto sensibile, e lo strofinare del pizzo mi fa impazzire.
Mordere il labbro inferiore non serve, mi porto l’altra mano alle labbra e inizio a mordere la carne tra il pollice e l’indice.
Da brava cagna mollo la presa, per poi riaffondare i dentini nella carne, stringendo con maggior forza solo per non ansimare, non gemere.
“Fermati” non lo sento “fermati troia, ti ho detto di smettere” oramai persa nella ricerca della vetta continuo a non sentire la sua voce “smetti katia. Fermati subito. Ti ho detto di fermarti troia!” come una freccia che ha superato uno sbarramento la sua voce, il suo ordine, fa breccia nella mia cortina di desiderio.
Il respiro a questo punto è breve e irregolare, intervallo la respirazione della bocca con quella del naso, sperando di non farmi sentire e soprattutto di calmarmi. Ora avverto di nuovo le voci delle signore, che parlano del contratto molto probabilmente scucito al cliente, per un attimo faccio fatica a visualizzare il posto in cui mi trovo….ma è solo questione di un attimo.
La voce del Padrone mi scaraventa nella realtà “brava, molto brava la mia piccolina. Oltre che troia sei anche cagna vero? Una lurida cagna con una lurida lingua” “mmh” oddio che sforzo enorme per emettere un suono di gola.
Gola, collo ….perchè mi fa male? “allora cagna lecca. Lecca la tua mano con quella lurida lingua” è un qualcosa che mi ha sempre fatto ribrezzo, ma che ho imparato a fare per desiderio del Padrone….senza rispondere la lingua silenziosamente lappa il palmo della mano, si spinge verso il centro.
Si sposta sul dito medio, leccandolo partendo dalla base fino alla punta dell’unghia, il labbro superiore tocca l’unghia mentre quello inferiore il polpastrello, la punta della lingua tocca il dito, si muove su di esso.
La lingua contro il palato produce una specie di schiocchio basso e dolce, la breccia nella cortina di nebbia lentamente si richiude, e inavvertitamente inizio a mugolare come una cagna.
La bocca viene riempita dal dito che lo inizia a succhiare, mentre la lingua lo lambisce, metto la mano asciutta sul cellulare e premo contro l’orecchio, una fitta al collo mi fa emettere un mugolio di dolore; sollevo la testa, protendo il seno in fuori come se volesse essere toccato ma che in realtà vuole soltanto che si spenga il fuoco che mi sta bruciando.
“ma che brava cagnolina che ho” attimo di silenzio “grazie, appoggi pure” ancora silenzio da parte sua, mentre io incurante di ciò che mi circonda continuo a leccare le dita intrise di me; “cagna fermati. Non farmi ripetere lo sai che non mi piace. Ti ho detto di fermarti cagna! Riprenditi e vieni al tavolo, hanno portato il risotto”. Stordita come da una doccia fredda, apro e chiudo gli occhi velocemente, il respiro è ancora irregolare, il seno si solleva rapido.
Abbasso gli occhi e vedo un seno mezzo scoperto con il capezzolo ancora duro e dolente dall’eccitazione, la coscia fasciata dagli autoreggenti sollevata sul water; la mano bagnata dei miei umori scende fino ad entrare nella mia visuale, è aperta con le dita leggermente piegate verso l’alto.
Sono proprio in questi momenti che mi accorgo di come sono, di chi sono, e soprattutto di quanto ne vada fiera.
Anche se ancora non del tutto lucida, mi asciugo la mano con della cartaigienica, rimetto il piede sollevato a terra e mi siedo sul water.
Ho bisogno di qualche secondo, devo cercare di riprendermi e andare il più in fretta possibile dal Padrone, se non voglio che si arrabbi.
Riesco a prendere la borsa, frugo al suo interno e prendo la scatolina delle salviette umidificate; ne prendo due e le metto ai lati del perizoma.
Allargo le gambe, porto le mani in vita ed afferro i lati del peri e lo faccio scorrere sulle cosce stando ben attenta che il bagnato non mi tocchi né le gambe né gli stivali. Lo lascio cadere a terra, sposto i piedi allargando ancora di più le gambe, prendo da un lato con le dita quella massa informe color cobalto e con un velo di tristezza lo getto nel pattume lì accanto. Mi pulisco con le salviette umide, mi abbasso la gonna, rimetto il seno nella sua coppa orlata di pizzo e mi riallaccio la camicetta, il tutto con gesti meccanici e cercando di impiegarci meno tempo possibile.
Una volta terminata di mettermi in ordine, prendo la borsa, sblocco la porta ed esco; mi lavo immediatamente le mani e mentre me le asciugo mi dò una controllata nello specchio….. non è possibile! Gli occhi sono lubrici come a voler testimoniare e dire a tutti quello che ho fatto nel bagno, il seno è ancora gonfio anche se i capezzoli sono meno turgidi rimangono sempre dolenti.
Sono entrata in bagno che sembravo una cagnolina randagia e ora ne esco che sembro una cagnolina in calore…….sorrido da sola a queste parole sussurrate allo specchio. Sistemo il foulard…il collo, il dolore! Sollevo le braccia per allentare il nodo del foulard, il solo sollevare il collo mi provoca sofferenza, tolgo il tessuto leggero mettendo alla luce il collare di cuoio nero.
La parte sinistra alla base del collo e quella inferiore dello zigomo sono arrossati e dolenti, provo a massaggiarli con le dita ma non faccio che peggiorare ed aumentare il dolore. Non penso a nulla, gli occhi attraverso lo specchio sono incatenati al collare, segno indiscusso di appartenenza, e senza scostare lo sguardo mi riannodo il foulard.
Esco dal bagno e con il massimo controllo delle gambe riesco a tornare al tavolo…..ma hanno aumentato il numero dei grandini? Oppure sono più alti? Che fatica arrivare al tavolo…
Con fare indifferente “ben tornata piccolina, che cos’hai, va tutto bene?” ridacchia compiaciuto “come sono i bagni? Li hai trovati di tuo gradimento?” continua a sorridere mentre mi guarda, io abbozzo un mezzo sorriso e sgrano gli occhi
“Dai mangiamo prima che si raffreddi”.
Mangio di gusto, il risotto è a dir poco ottimo, la conversazione è piacevole e tocca argomenti leggeri della nostra cerchia comune e non, conversazione che comunque è toccata da alcune sue punzecchiature….
Il pranzo si svolge in tranquillità, è tutto eccellente; la chiacchierata si fa più spinta e guardandomi attorno mi rendo conto solo ora che siamo soli.
Mi osserva, mi scruta e sento che non è per leggermi dentro, sembra quasi che sia indeciso su qualcosa. Controlla l’ora e riposa lo sguardo su me.
“E’ molto tardi, vieni andiamo. Sei fortunata avevo in mente una cosa ma non ho tempo ora, sono molto in ritardo e alle quattro ho un appuntamento di lavoro”, scherzosamente rispondo “fiuuuuuu mi sono salvata in corner…” “katia guarda che non ho detto che non te lo faccio fare, ho detto solo che ora non ho tempo” mi blocco immediatamente, e guardandomi in viso inizia a ridere di gusto “ti ho detto che mi diverto quando ti blocchi o cambi il tono della voce?” alle sue parole arriccio il naso seguito da un leggero mmmmmh.
Usciamo dal ristorante e ci dirigiamo alla macchina, una volta in auto ringrazio il Padrone per avermi portata in un così bel ristorante.
Il tragitto è di breve durata e non ho bisogno che mi dica dove mi sta portando, ferma l’auto in un parcheggio condominiale “vieni siamo arrivati a casa mia”

 
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ale102
TOPIC_ICON12  view post Posted on 17/2/2012, 15:58




c'è una continuazione?
 
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1 replies since 19/4/2009, 16:04   20112 views
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