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Eneide - Libro 3, vv. 69-120, Versione di Latino, Virgilio

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† Infernus †
view post Posted on 2/5/2009, 09:59




Inde ubi prima fides pelago, placataque venti dant maria et lenis crepitans vocat Auster in altum, deducunt socii navis et litora complent; provehimur portu terraeque urbesque recedunt. sacra mari colitur medio gratissima tellus Nereidum matri et Neptuno Aegaeo, quam pius arquitenens oras et litora circum errantem Mycono e celsa Gyaroque revinxit, immotamque coli dedit et contemnere ventos. huc feror, haec fessos tuto placidissima portu accipit; egressi veneramur Apollinis urbem. rex Anius, rex idem hominum Phoebique sacerdos, vittis et sacra redimitus tempora lauro occurrit; veterem Anchisen agnovit amicum. iungimus hospitio dextras et tecta subimus. Templa dei saxo venerabar structa vetusto: 'da propriam, Thymbraee, domum; da moenia fessis et genus et mansuram urbem; serva altera Troiae Pergama, reliquias Danaum atque immitis Achilli. quem sequimur? quove ire iubes? ubi ponere sedes? da, pater, augurium atque animis inlabere nostris.' vix ea fatus eram: tremere omnia visa repente, liminaque laurusque dei, totusque moveri mons circum et mugire adytis cortina reclusis. summissi petimus terram et vox fertur ad auris: 'Dardanidae duri, quae vos a stirpe parentum prima tulit tellus, eadem vos ubere laeto accipiet reduces. antiquam exquirite matrem. hic domus Aeneae cunctis dominabitur oris et nati natorum et qui nascentur ab illis.' haec Phoebus; mixtoque ingens exorta tumultu laetitia, et cuncti quae sint ea moenia quaerunt, quo Phoebus vocet errantis iubeatque reverti. tum genitor veterum volvens monimenta virorum 'audite, o proceres,' ait 'et spes discite vestras. Creta Iovis magni medio iacet insula ponto, mons Idaeus ubi et gentis cunabula nostrae. centum urbes habitant magnas, uberrima regna, maximus unde pater, si rite audita recordor, Teucrus Rhoeteas primum est advectus in oras, optavitque locum regno. nondum Ilium et arces Pergameae steterant; habitabant vallibus imis. hinc mater cultrix Cybeli Corybantiaque aera Idaeumque nemus, hinc fida silentia sacris, et iuncti currum dominae subiere leones. ergo agite et divum ducunt qua iussa sequamur: placemus ventos et Cnosia regna petamus. nec longo distant cursu: modo Iuppiter adsit, tertia lux classem Cretaeis sistet in oris.' sic fatus meritos aris mactavit honores, taurum Neptuno, taurum tibi, pulcher Apollo, nigram Hiemi pecudem, Zephyris felicibus albam.

Poi quando c’è la prima fiducia nel mare ed i venti rendono le acque placate ed il leggero Austro crepitando invita al largo, i compagni traggono le navi e riempiono le spiagge; vi allontaniamo dal porto e terre e città si ritirano. In mezzo al mare è abitata una terra sacra molto gradita alla madre delle Nereidi ed a Nettuno Egeo, che il pio arcotenente legò a Micono, poiché errava attorno a lidi e spiagge dall’alta Giaro, concesse che immobile fosse coltivata e disprezzasse i venti. Qui sono portato, questa placidissima ci accolse stanchi nel porto sicuro; usciti veneriamo la città di Apollo. Il re Anio, lo stesso re di persone e sacerdote di Febo, coronato le sacre tempia di bende e d’alloro accorre; riconobbe il vecchio amico Anchise. Giungiamo le destre per l’ospitalità ed entriamo nelle case. Veneravo i templi del dio costruiti su antica roccia: “Dà una casa propria, Timbreo; agli stanchi dà le mura e una stirpe e una città duratura; serba la seconda Pergamo di Troia, i resti dei Danai e del crudele Achille. Chi seguiamo? o dove comandi d’andare? dove porre le sedi? Dà, padre, un presagio e penetra nei nostri cuori.” Avevo appena detto così: si vide tutto tremare, le soglie e l’ alloro del dio, muoversi tutto attorno il monte e mugghiare il tripode, squarciati i penetrali. Inchinati ci volgiamo a terra ed una voce si sente alle orecchie: “Dardandi duri, la terra che per prima vi creò dalla stirpe dei padri, la stessa vi accoglierà reduci nel fertile seno. Ricercate l’antica madre. Qui la casa d’Enea dominerà tutte le spiagge ed i figli dei figli e chi nascerà da essi.” Così Febo; nacque una enorme gioia con unito tumulto, e tutti chiedon quali sian quelle mura, dove Febo chiami gli erranti ed ordini che tornino. Allora il padre meditando i ricordi degli uomini antichi “Udite, o capi, dice, ed imparate le vostre speranze. Creta, isola del grande Giove, giace in mezzo al mare, dove è il monte ideo e culla del nostro popolo. Abitano cento grandi città, regni ricchissimi, Donde il massimo padre, Teucro, se ricordo bene le storie, fu prima condotto nelle spiagge rete, e vi volle la sede per il regno. Non erano ancora fondate Ilio e le rocche pergamene; abitavano in fondo alle valli. Di qui la madre abitatrice di Cibelo ed i bronzi Coribantici ed il bosco ideo, di qui i fidati silenzi per i riti, ed i leoni aggiogati si sottoposero al cocchio della padrona. Perciò coraggio, dove gli ordini degli dei guidano, seguiamo: plachiamo i venti e cerchiamo i regni Cnosii. Non distano lungo spazio: solo Giove ci assista, la terza luce porterà la flotta sulle spiagge cretese.” Detto così, immolò sugli altari giuste vittime, un toro a Nettuno, un toro a te, splendido Apollo, nero animale a Tempesta, agli Zefiri propizi uno bianco.
 
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