| Il parcheggio quasi deserto. I centri commerciali. Immense cattedrali dove la frenesia si coniuga con lo svolazzare di carte di credito e con la melodia dei registratori di cassa, che aprono e chiudono il cassetto dei soldi ad un ritmo impossibile per gli umani. Quando le ombre si allungano, i clienti, uno dopo l'altro, salgono sulle vetture rese simili a forni da ore di esposizione ai raggi del sole. Il parcheggio rimane testimone delle migliaia di piedi che l'hanno calpestato. Tracce umane, vestite di cartocci vuoti e lattine schiacciate, rimangono uniche testimoni del giorno trascorso. Il mio compito di sorvegliare la sicurezza è finito. Finisce con l'annuncio degli altoparlanti che invita gli ultimi clienti ad affrettarsi alle casse. Tra pochi minuti gli ultimi rappresentanti della razza umana abbandoneranno questa cattedrale di lamiera e cemento, buttandosi in fretta sulle strade di casa. Devo solo aspettare che l'ultima anima abbandoni questo paradiso artificiale, inserire il sistema di allarme, verificare che l'impianto funzioni e poi andarmene a casa. Capita a volte che Gianna ritardi qualche minuto. Lei è la vice direttrice. Ma nella realtà è lei che fa andare avanti la baracca. Che strano. Ci conosciamo da quasi cinque anni. Da cinque anni siamo gli ultimi a lasciare questo posto. Da cinque anni la guardo mentre si avvicina alla macchina, mentre sale, mette in moto, si accende una sigaretta e si abbandona sul sedile per qualche attimo. Da cinque anni la vedo poi partire, piano, lentamente, come se volesse ritardare il momento del distacco da qual luogo. Da cinque anni la vedo regalarmi un ultimo sorriso e salutarmi con un cenno della mano. Da cinque anni. In tutto questo tempo ci siamo scambiati poche parole in rare occasioni. Saluto cordiale, un cenno al tempo, fino al massimo di un: come va? Che poi rimane sospeso tra di noi, annullato da un cenno del campo che risponde: non c'è male. Due anni fa, per qualche tempo, c'era un uomo. Un tipo giovane, distinto, sembrava una storia seria. A volte passava a prenderla la sera. Poi nulla. Tutto tornato alla normalità. È difficile per una donna come lei. Lavoro sei giorni su sette, dalle nove di mattina alle nove di sera. Difficile pensare ad una famiglia. Un marito, dei figli. Hanno le loro esigenze, come Gianna del resto. Un uomo dedito al lavoro è normale. Normale è una moglie che lo aspetta, ma quanti mariti ci sono disposti ad aspettare? Eccola, sembra stanca. Il tailleur color sabbia sembra più stanco di lei. Il lino stropicciato da l'idea di una giornata intensa. Il trucco un poco sbiadito le rende il viso affilato. Gli occhi non hanno l'espressione viva del mattino. Sono spenti, come se anche loro volessero un meritato riposo. La vedo dai vetri della porta automatica, il passo lento e la borsa che ondeggia. Mi vede ed accenna un sorriso. Stanco, come tutto il resto. "buonasera Aldo, come va?" la sua voce, era tempo che non mi parlava, bella, profonda. "non c'è male signora Gianna e lei? Sembra stanca" da cinque anni la conosco e da cinque anni mi rivolgo a lei chiamandola signora Gianna, non sono mai riuscito a spezzare quel sottile filo che separa la confidenza dettata dal tempo dal rispetto dettato dai ruoli della vita. "si Aldo, sono stanca, è stata una giornata dura" lo dice quasi d'un fiato ma Aldo, possibile che dopo tutto questo tempo non riesci ancora a darmi del tu?" "non si riesco signora Gianna, mi viene naturale" ed è vero, quella confidenza che sogno non viene mai a galla. "allora dovremmo cenare insieme una volta, sempre che tua moglie non sia gelosa" una battuta scontata "non sono sposato signora Gianna" "un single anche tu, vedi che abbiamo qualche cosa in comune" "si signora Gianna, sono le cose della vita" "a domani Aldo e ricordati di invitarmi a cena una volta" "tutte le volte che vorrai Gianna!" lo dico quasi urlando, ma è un urlo dentro di me, la voce non esce. "va bene signora Gianna, volentieri" è l' unica frase che esce, anche se malconcia per l'emozione. La seguo con lo sguardo, mentre si avvicina alla macchina, mentre sale, mette in moto, si accende una sigaretta e si abbandona sul sedile per qualche attimo. La vedo poi partire, piano, lentamente, come se volesse ritardare il momento del distacco da qual luogo. La vedo regalarmi un ultimo sorriso e salutarmi con un cenno della mano. Uguale da cinque anni. Tutto a posto, chiamo la centrale e me vado a casa. Forse mi compro una pizza per cena. Oppure no, mi fermo al TAKE AWAY Cinese, così tanto per cambiare. Così tanto per finire un altro giorno, aspettando domani. Come sempre.
La mattina è diverso. Il parcheggio è pulito e le macchine entrano, una dopo l'altra, rincorrendosi per trovare il posto migliore. Come se facesse tanta differenza. Decine di spazi vuoti e tutti lì a lottare per quello lì in particolare. Come se dieci metri in più facciano cambiare il corso della storia. Oggi è sabato. Le persone si mettono in fila davanti all'ingresso. Le vedo attraverso i vetri. Signore arpionate ai carrelli, pronte allo scatto. Sembra di una qualche importanza entrare per primi. Le vedo ma non ci bado. Aspetto Gianna. Ci conosciamo da quasi cinque anni. Da cinque anni lei è l'ultima ad arrivare, ma sempre qualche minuto prima dell'apertura. Da cinque anni la guardo mentre parcheggia, sempre al solito posto, mentre si da un'ultima controllata allo specchietto retrovisore, mentre scende dalla machina e si accomoda la gonna. Da cinque anni la vedo poi venirmi incontro, con passo deciso, come ad annunciare che l'ora è giunta, che si aprano le porte. Da cinque anni la vedo regalarmi un sorriso e salutarmi con un cenno della mano. Da cinque anni. A volte capita poi che durante il giorno la vedo passare, in mano qualche tabulato oppure il telefonino. Non mi vede quasi mai, Non vede nessuno a parte quello che nelle mani. La chiacchierata di ieri sera mi ha turbato. Penso di dover fare un passo io. La vedo attraversare il corridoio per andare a prendere un caffè. Io l'ho già bevuto ma è un'occasione per avvicinarla. Magari non mi parla ma almeno posso respirarne il profumo. Al bar la vedo parlare con delle colleghe. Le conosco tutto e conosco anche i loro commenti idioti. Per servizio a volte mi fanno indossare un'uniforme particolare, come se dovessi andare in guerra. Mi sento ridicolo ma loro, quelle donne tanto normali che quasi non le vedi, dicono che mi dona. A volte una di loro mi lancia un'occhiata, ammiccante. Ci sono anche uscito con qualcuna di loro. Roba senza importanza. Mi vede e mi sorride. "ecco qui il nostro Aldo" quell'annuncio mi mette in imbarazzo "buongiorno signora Gianna" ho in mente almeno cento frasi da poter usare. Per cento volte mi rimangono intrappolate tra i denti. "allora tutto a posto" mi chiede Carla, la più spigliata di tutte. Dicono di lei che cambi uomo più frequentemente che abito. "si certo Carla, tutto tranquillo" con lei ho più confidenza. Ci sono uscito una volta. Non ho combinato quasi nulla. "lo credo, vestito da Marine e con quel pistolone alla cintola metti paura" chiaro che c'è il doppio senso "ma dimmi, ti è mai capitato di usarlo. il pistolone" "qualche volta si, però molto dipende dal bersaglio." ho risposto a tono, anche se mi sento le guance in fiamme. "bene, grazie del caffè, buon lavoro a tutti" Gianna si congeda, lasciandomi in mezzo alle comari di questa cattedrale. Volevo parlare con lei, invece eccomi qui, vanno via tutte, una dopo l' altra, rimane solo Carla. "Aldo, non ti andrebbe di uscire una volta?" "siamo già usciti una volta, ricordi?" "si è vero ma credo che adesso. cioè forse andrà meglio.. Vestito così ." Carla non è certo il tipo di usare troppi mezzi termini. "si può fare, magari domani oppure dopo. Tanto ci vediamo tutti i giorni, ci mettiamo d'accordo"
Se ne va anche Carla. Chissà poi perché ho detto quasi di si. Fisicamente mi piace, ma alla fine devo anche parlarci e quando parla la trovo odiosa. Però ogni tanto ci vuole anche del sesso. Solo sesso. L'amore è riservato, già prenotato. Da cinque anni. Oggi Carla mi ha puntato. Per tutto il giorno me la sono trovata intorno. Con una scusa o l'altra. Bisogna dire che quando si mette è difficile resistere. Il suo corpo è esplosivo. Seni pazzeschi che spingono contro camicie e giacche, quasi urlando per avere un attimo di libertà. Le gambe lunghe e sempre abbronzate non si nascondono mai troppo. È una bella donna che sa di esserlo e che si diverte con il proprio corpo. Alla fine cedo e ci mettiamo d'accordo. Alle dieci, dopo cena a casa sua. Io devo portare il vino. Lei prepara il dessert. E quando me lo dice non ci sono dubbi su cosa intende.
Arrivo puntuale. Per scegliere il vino sono una frana. Per non sbagliare porto una bottiglia di Passito di Pantelleria. A me piace molto e con il dessert lega bene. Carla abita quasi in centro. Difficile trovare parcheggio, non è mica come al Centro Commerciale. Lei ha voluto che restassi con la stessa uniforme. Evidentemente la cosa la eccita. Da perdere non ho nulla. Suono il citofono e la sua voce mi invita a salire. "buonasera Aldo" mi apre la porta e vedo che indossa una tunica lunga, arabeggiante. Non proprio trasparente ma si indovina che indossa solo quella. "buonasera Carla" le porgo la bottiglia che lei guarda subito con malizia ed interesse "uhm. Passito di Pantelleria. vino caldo da una terra calda. accomodati" Il soggiorno è anche sala da pranzo e sul tavolo ci sono gli avanzi della cena. Mi siedo sul divano, mentre lei armeggia con la bottiglia per aprirla. Prende due bicchieri, versa un pò di vino e me ne porge uno. Si siede di fianco a me. Un poco di traverso, tirando su le gambe. La posizione è semifrontale e dalla tunica afflosciata esce quasi completamente un seno. Beve tenendo il bicchiere con due mani. Come se fosse una coppa enorme. Ne assapora brevi sorsi, senza staccare gli occhi dai miei. Posa il bicchiere sul tavolino, prende il mio e fa altrettanto. Con l'indice traccia disegni sulla mia testa quasi rasata. L'altra mano mi carezza il torace e uno alla volta slaccia i bottoni della mia camicia. Quando è quasi completamente slacciata si ferma un istante. Si fa scendere le spalline della tunica, fino a quando solo il seno la tiene ancora su, sebbene in modo precario. Poi si solleva leggermente, afferra le mie mani e se le porta ai fianchi. Facendole scorrere verso il basso libera il seno. Enorme ma sodo e ben alto. Quasi il sospetto che il chirurgo l'abbia aiutata. Mi abbandono a quella carne. La bacio mentre lei mi preme la testa al petto. Con la lingua faccio cerchi concentrici intorno ai capezzoli. Insisto fino a quando non diventano appuntiti e duri come marmo. Con le mani accompagno la lingua. È quello che vuole. Adoro il seno e mi perdo in quel gioco, mentre sento le sue mani cercare la strada per liberare il mio istinto represso dai calzoni. La rovescio sul divano. Piano le mani sollevano la tunica e la mia bocca prende il posto delle mani. Bacio ogni centimetro di pelle che viene scoperto, prima le caviglie, poi le ginocchia. Indugio sulle cosce, con la lingua percorro la sua gambe interna, piano fin quasi all'inguine. Mi fermo e ricomincio con l'altra gamba. Il suo desiderio sale. Allarga le gambe e cerca di spingermi al testa verso il suo ventre. Accetto il gioco, facendo quel poco di resistenza che le fa lievitare il desiderio. Quando finalmente affondo le labbra verso di lei un gemito di gratitudine mi accompagna. Le bacio il pube, ha solo una sottile riga di pelo nero, mentre la vulva ed il contorno sono perfettamente liberi. La lingua passa lungo le grandi labbra, con un ritmo lento ma deciso. Poi con le dita le stringo la fessura e la lingua scorre dal basso in alto. Finalmente, per lei, rompo gli indugi. Mi abbandono alla frenesia che i suoi odori ed i suoi umori mi fanno crescere. La lingua diventa un dardo che vive di vita propria, come se fosse staccato da me. Con le dita aiuto la lingua a penetrare più a fondo, solleticandole la clitoride prima di impadronirmene con le labbra. È tutta bagnata, rigagnoli di piacere le colano sulle cosce e anche il suo forellino privato trattiene gocce del suo piacere. Senza staccare la bocca affondo l'indice nel suo palcoscenico posteriore. Un leggero tremito. Come ad irrigidirsi, poi si abbandona. La lingua padrona della sua vita, il dito che affonda in lei e l'altra mano che le tormenta a turno i seni. La sento vibrare, la sento godere. Inarca la schiena per annunciare il piacere ormai prossimo. Aumento l'energia per farla giungere all'apice. Esplode. Lancia quasi un urlo, inumano e roco. Mi afferra la testa come se fosse un la fonte stessa del suo piacere. Preme il bacino contro di me e gode, come forse ha sempre fatto come forse ha sempre voluto. Gode. BEEP-BEEP-BEEP il mio cercapersone. "ti prego continua" Carla quasi mi implora "aspetta, sono reperibile e devo rispondere, scusa ma devo farlo.." Prendo il telefono e chiamo la centrale. È scattato l'allarme al Centro Commerciale. Devo andare. Saluto Carla che mi regala il suo disappunto. Però almeno lei qualcosa ha concluso. "almeno promettimi di tornare" è chiaro che ha avuto solo un assaggio e vuole arrivare al dessert "per questa sera dubito, ma ci possiamo incontrare un altro giorno, va bene?" in effetti lo desidero anch'io "ci puoi giurare!" nella sua voce rimane appeso il senso di qualcosa di incompiuto che deve essere portato a termine. Mi sistemo ed esco. Non mi era mai capitato un allarme mentre ero, diciamo, impegnato. Ma non è una novità. Quasi sempre si tratta di una fesseria, tipo vento forte, oppure un contatto elettrico. Qualche volta un gruppo di teppisti che lancia sassi sulle vetrate. Fa parte del lavoro. In pochi minuti sono sul posto. Informo la centrale via radio prima di cominciare il giro di ispezione. Vado verso la scatola del comando dell' allarme e mi accorgo che è stata forzata. Credo sia il regalo di qualche teppista. Per regolamento devo stare in contatto radio costante. Mi chiedono se ho bisogno rinforzi. Credo di no. Impugno la pistola e comincio il giro. Tutto tranquillo sembra. Il silenzio che regna qui è irreale. Dove durante il giorno migliaia di voci squarciano l'aria non si sente altro che il rimbombo dei miei passi. Tutto a posto. Niente di niente. Torno fuori e richiudo la baracca. Il problema è l'allarme. Impossibile inserirlo. Si potrebbe con il sistema ausiliario ma ci occorre l'autorizzazione della direzione del centro. Comunico alla centrale la situazione. Dopo pochi minuti mi richiamano. Hanno avvisato la direzione e un incaricato sarà lì in qualche minuto.
Mi siedo su uno di quei "panettoni" di cemento che vengono messi per evitare che qualcuno cerchi di parcheggiare proprio davanti alle porte. Accendo una sigaretta e aspetto. Le altre volte avevano mandato lo sfigato che è sempre reperibile. Un tipo di cinquant'anni, responsabile interno della sicurezza. Tra una boccata e l'altra mi guardo intorno, questo parcheggio è enorme e quando è vuoto sembra immenso. Sullo stradone ogni tanto sfrecciano dei fari. Uomini o donne che corrono sulle strade. Mi piace indovinare la vita di chi è li dentro. Chi sta tornando a casa. Chi invece sta solo girando per tirare tardi. Chi ha appena finito di scopare e chi invece forse si sta andando. Sono avvolto dal fumo della sigaretta e dai miei pensieri quando due fari mi puntano dall'estremità opposta del parcheggio, avvicinandosi rapidamente. Mi alzo e faccio qualche passo in avanti. Tanto so chi è. L' auto si ferma qualche metro indietro ed una figura ne scende in rapidamente. "salve Aldo. Tutto a posto" quasi non ci credo, Gianna. "Signora Gianna! Si tutto a posto ma come mai lei e non il sig. Foresti?" pronuncio la frase con la massima incredulità che la mia voce può esprimere. "Ferie, beato lui, hanno chiamato me, spero non ti dispiaccia." solo un velo di malizia sorvola l'ultima parola "No, anzi, ma è notte, mi sembra pericoloso per una donna" mentre escono le parole mi rendo conto da solo della banalità della frase "ma ci sei tu a difendermi!" "certo signora Gianna, io sono qui per questo" "lo so, lo so, mi dai sicurezza, davvero" queste ultime parole suonano piene di dolcezza e di amarezza al tempo stesso. Insieme percorriamo il corridoio e saliamo negli uffici della direzione. Mi sento forte e importante. Sono la scorta della Gianna e ciò sembra dare un senso in più alla mia esistenza. Si vede che siamo nel suo territorio, si muove sicura e decisa. Nel suo ufficio c'è la scatola di comando del sistema ausiliario. Apre lo sportello e digita un codice d'accesso, seguito da altri due codici. "fatto. Andiamo, il sistema entra in funzione tra 8 minuti, il tempo di uscire da qui e chiudere le porte" lo dice come se fosse un comando, come un sergente alla truppa. Ripercorriamo il corridoio, fianco a fianco. Riesco a percepire il suo profumo e mi meraviglio di come una donna, anche nelle emergenze, non trascuri di mettersi due gocce di profumo ed un filo di trucco. Usciamo. Chiudo le porte e controllo l'orologio. Abbiamo fatto tutto in meno di quattro minuti. Devo aspettare che dalla centrale mi diano il segnale di allarme inserito, poi posso tornare a casa. "signora Gianna, lei può andare adesso, resto io ad aspettare" "mi vuoi mandare via? Senza nemmeno offrirmi una sigaretta?" "io mandarla via? Si figuri, prego tenga una sigaretta" le accendo la sigaretta, lei aspira una boccata, lunga, di quelle che servono a scacciare i pensieri. "Aldo ma è possibile che non riesci a darmi del tu? Hai paura di me oppure ti sto proprio sulle palle?" "no, ma cosa pensa, è che lei è così." "così come Aldo?" "no è tanto per dire lei è importante qui dentro e io sono solo un sorvegliante" non riesco a dirle quanto sia bella, quante volte l'ho sognata "siamo tutti importanti Aldo, ma non mi hai risposto, sono così come?" non molla la presa ed io non so cosa dire, meno male che è buio, forse non si accorge delle mie guance rosso fuoco "Signora Gianna lei è così. così. diversa" sorprendo me stesso con questa frase, che se possibile è ancora peggio delle altre "diversa, perché diversa?" "no, non volevo dire diversa, cioè lei è.. insomma di un altro livello" "ma cosa vuoi dire Aldo, non siamo nel medioevo" ora il tono è quasi seccato, vorrei urlarle che lei è tutto per me ma la voce non esce "siamo diversi, io sono solo un sorvegliante e non posso paragonarmi a lei" "uhm.. ho capito, io sono diversa, anche Carla è diversa? Non dovevi uscire con lei?" c'era da immaginarlo, quella Carla non riesce a stare zitta, quando aggancia un uomo deve urlarlo ai quattro venti "nooo. Carla la conoscono tutti, è un tipo particolare, non è come lei" "bene! Allora Carla può andare a letto con chi vuole, sorveglianti compresi, mentre io no, devo restare sola. È così che la pensi?" "Ma no, signora Gianna lei continua a farmi dire quello che non penso." "allora dimmi una buona volta quello che pensi.. Per favore" la sua voce è calda e dolce, le sue parole un invito, come se avesse bisogno di risposte "io non ci riesco, signora Gianna lei è troppo. importante" "ancora questa storia, solo perché qui comando io.." "no, volevo dire importante per. per me" Vorrei abbracciarla, stringerla a me, baciarla e portarla via, lontano da qui. Vorrei amarla e tenerle la mano. Vorrei sentirmi dentro di lei. Fondere i nostri corpi e diventare un'unica anima, libera di volare sul mondo. Sono perso nei miei pensieri quando dalla radio gracchia la voce del collega, tutto a posto sistema in funzione. "possiamo andare adesso signora Gianna, sono quasi le due, è tardi" "mi vuoi proprio scaricare, va bene Aldo, speravo che tu almeno.." "io almeno, almeno cosa signora Gianna?" "che almeno tu mi fossi amico, ho visto come mi guardi, speravo che almeno tu mi fossi vicino" "ma io le sono vicino, lei avrà sempre un amico in me, signora Gianna le posso assicurare che.." "cosa, sei tanto amico che mi dai ancora del lei, che non mi inviti mai neppure per un caffè." "Gianna, lo vorrei tanto ma non credo di potere.." per la prima volta, parlando con lei, non ho usato la parola signora davanti al suo nome "ti prego Aldo, dimentica tutto, sono stanca, comunque grazie" "grazie a lei, non si preoccupi, va tutto bene" Risale in macchina e se ne va. Seguo le luci rosse della sua auto fino a quando posso, poi risalgo in macchina anch'io e mi avvio. Appena arrivo sul viale principale vedo la sua auto ferma. "Cosa succede signora Gianna" "non lo so, si è spento il motore e sembra non voglia ripartire" provo ad armeggiare un poco. Niente da fare, non si rimette in moto. Spingo la vettura verso il lato della strada, la chiudo e do le chiavi a Gianna. Ovvio che la riaccompagno a casa. Ci vogliono pochi minuti, resi lunghissimi dal silenzio assoluto che regna tra i noi. Arrivati sotto casa sua la vedo indugiare. "Aldo, ti va di bere qualcosa.." mi invita a salire, il sogno di tutta la mia vita negli ultimi cinque anni "è un po' tardi signora Gianna, non so se posso.." "sono io che ti chiedo di salire, ma se non vuoi non importa" "no, lo voglio.." queste parole mi escono non so come, mi sembrava di non respirare. Saliamo, il suo appartamento è all'ultimo piano. Dal balcone si vede la parte ovest della città. Le luci della notte disegnano arabeschi tutt' intorno. È una bella casa, grande, troppo grande per una persona sola. Mi offre un bicchiere di vino bianco fresco. Ci sediamo sul divano e per la prima volta sono così vicino a lei da poterla sfiorare con un sospiro. Le nostre parole riempiono la stanza, parole banali, di circostanza. Con semplicità si toglie le scarpe e si rannicchia sul divano, bevendo a piccoli sorsi. I suoi occhi sono piantati nei miei. Mi sento quasi a disagio ma non voglio sprecare nulla di quel momento. Posa il suo bicchiere e mi prende la mano. "Aldo, è da molto tempo che volevo stare sola con te" la sua voce ha la dolcezza di un melograno maturo "anch'io signora Gianna" "ti prego, adesso basta, chiamami solo Gianna, per favore" "va bene, Gianna" "Aldo, ti piacerebbe baciarmi" "più della mia stessa vita" "allora baciami, ti desidero, ho voglia di sognare.." mi avvicino a lei, le poso un bacio leggero sulle labbra, mentre con la mano le carezzo piano il ginocchio. Lei si abbandona sul divano, invitandomi ad esserle più vicino. La bacio, le sue labbra si congiungono con le mie. Ne sento il calore. Sono morbide come la seta. Le mie mani scivolano sotto la gonna di seta. Sento la sua pelle liscia e tesa. Le mie carezze sono leggere, percepisco il suo desiderio attraverso i suoi fremiti. Le nostre lingue hanno cominciato una danza lenta e prolungata. Si intrecciano e si cercano. Lei mi sta slacciando la camicia e quando sento le sue mani sulla pelle un brivido mi percorre tutto il corpo. Infilo le mani sotto la sua camicia, alla ricerca dei seni. Mi accorgo solo ora che non indossa reggiseno. I capezzoli sono turgidi, come fieri soldati sulla sommità della collina. Sollevo la camicia e mi chino a baciare quei boccioli di rosa. Con la punta della lingua li tamburello, poi ne seguo il contorno. Un gioco lento e continuo. Lei rovescia la testa all'indietro, abbandonandosi totalmente e porgendomi i seni. Li afferro tra le mani, li stringo e con la lingua scorro il solco che si crea. Risalgo fino alla gola e poi sulle labbra, un leggero e fugace bacio e poi di nuovo i seni. Sento i primi gemiti del suo piacere. Le sfilo completamente la camicia e la aiuto a sdraiarsi sul divano. Il suo corpo ora è disteso. Sembra come tastiera di un pianoforte. Io inginocchiato al suo fianco posso scorrere tutta la sua figura. Mentre le bacio e le succhio i seni con la mano scivolo sulle sue cosce, fino a giungere all'inguine. Indossa culottes di seta, morbide e leggere. Indugio un momento con la mano, carezzandole il pube, poi cerco la strada tra la seta per arrivare all'essenza della sua femminilità. I suoi umori non sono abbondanti ma sufficienti a rendermi facile il cammino. Quando incontro la fessura un fremito di lei mi invita a continuare. Mi abbasso e le bacio il ventre, mentre le sfilo la gonna. La carezzo i fianchi, scendo con la bocca fino al suo punto vitale e la bacio, sento attraverso la seta il suo profumo e ne resto inebriato. Allarga le gambe, come ad invitare la mia bocca. Io la giro e le tengo sollevato il bacino. Le sfilo le culottes, e da dietro le bacio prima le natiche poi scendo lungo il solco del paciere, fino ad incontrare la fessura tanto ambita. La carezzo un poco con la punta delle dita prima di affondare la mia lingua in lei. Ora gli umori sono intensi, la sento afferrarmi la testa, come per guidarmi nel darle piacere. Gioco con la lingua, mentre con l'indice le sfrego la clitoride. Ansima, sempre più violentemente. Riprendo fiato, ma con l'indice ed il medio incrociati penetro il suo segreto, mentre con l'altra mano le massaggio un seno. Mi piace guardarla. Vedere la sua bocca spalancata e la sua testa che si scuote. La vedo mordersi un labbro e poi passarsi la lingua sulle labbra e poi gemere e poi spalancare la bocca come per respirare tutta l'aria del mondo. I muscoli si contraggono, i fianchi vibrano, faccio in tempo a raggiungerle la fessura con la bocca per accogliere sulla mia lingua il suo primo piacere. Forse non molto intenso ma lungo. Sta godendo. Gode a lungo forse un minuto, come se avesse raggiunto uno stato d'estasi infinito. Mi stacco da lei, così solo per guardarla. Si volta e mi guarda diritto negli occhi. Uno sguardo dolce, profondo. Ci troviamo inginocchiati uno contro l'altro e ci baciamo. I suoi baci sono fiammate che ardono dentro la mia mente oltre che nel mio corpo. Voglio regalarle tutto il piacere del mondo. La sollevo ed insieme, abbracciati, ci lasciamo andare sul divano. Questa volta è lei che tiene giù. La camicia si toglie subito, con i pantaloni deve armeggaire un poco di più ma lo fa con calma e con una leggerezza rara. Accompagna i gesti delle mani con leggeri baci al mio ventre. Io la aiuto sollevando i fianchi. Ora siamo completamente nudi. Si sdraia sopra di me e ne sento tutto il corpo contro. Lentamente si lascia scivolare verso il basso, fino a quando le sue labbra incontrano il mio pene. Lo prende in bocca ed al tempo stesso ho un sussulto. Comincia a baciarlo, poi lo succhia, poi lo bacia. Poi mi bacia il pube mentre con la mano detta il tempo del mio piacere. Le afferro i capelli e la guido verso ciò che più mi piace. Lei ubbidisce, afferra la mia essenza e posso immaginare oltre che sentire di essere interamente dentro la sua bocca. Cerco di controllarmi ma è troppo il desiderio represso per tutti questi anni. Sento il mio momento partire da dentro il mio corpo, con uno scatto lei sale sopra di me e mi accoglie dentro il suo mistero. Quell'attimo basta a ritardare un poco il mio orgasmo. Lei si muove come una gatta in amore. Io assecondo il suo ritmo. Voglio entrare ancora più a fondo. Abbassata su di me mi bacia, poi si solleva, poi si abbassa di nuovo. Sento il mio orgasmo ormai prossimo. La abbraccio forte e spingo dentro di lei. Lei preme contro di me. Ci baciamo ma è come se ci mancasse l'aria. Geme e mi chiama, vuole godere con me. Io sento che l'apice del mio piacere sale, lo sento dalla schiena, dalle reni, sono ormai come un fiume in piena che scende verso valle, violento ed inarrestabile. Proprio nel momento in cui raggiungo l' attimo sublime del piacere lei emette un suono strano, gutturale e sordo. Sento i muscoli interni del suo paradiso contrarsi ed accompagnare le pulsazioni del mio mondo. Stiamo godendo dei nostri corpi. Insieme, intensamente. Insieme. Senza neppure rendermene conto, con gli occhi socchiusi ed il respiro rotto, tra un gemito ed un sospiro pronuncio le parole che da cinque anni sono chiuse in me. "ti amo Gianna, ti amo" "anch'io"
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