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E come Emma

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THE DARK LORD
view post Posted on 28/12/2008, 13:48




Emma la peste. Solo a pronunciarne il nome, i paesani reagivano infastiditi. Meno se la trovavano per avanti, meglio se la passavano. Emma era una ragazzina terribile, che quando non giocava brutti scherzi a qualcuno, combinava guai. Nessuno riusciva più a sopportarla. Avevano cercato in tutti i modi, con le buone e con le cattive, di controllarla ed insegnarle un po’ di “civiltà”, ma avrebbero ottenuto di più con un serpente.

Emma aveva perso i genitori quando aveva 3 anni, ed era stata accolta dalla nonna che, un po’ perché presa dai suoi molteplici interessi, un po’ perché incapace di stabilire un dialogo con la bambina, l’aveva lasciata crescere allo stato brado, praticamente abbandonata a sé stessa, finché fu troppo tardi per riuscire a cambiarla.

Cresciuta da sola, senza controllo e senza nessuno che le insegnasse un po’ di disciplina, o quanto meno un po’ di rispetto per gli altri, Emma ben presto diventò un piccolo mostro, prepotente e cattiva. Non esitava ad usare la forza con i coetanei pur di ottenere ciò che voleva, o a rubare, o ad escogitare qualche sotterfugio con gli adulti. Non andava neanche più a scuola, tanto finiva invariabilmente per essere cacciata per qualche motivo, ed ora che aveva sedici anni la gente del paese aveva cominciato ad aver paura di lei e delle sue malefatte.

Avevano imparato a loro spese a tener chiuse porte e finestre (quando lei non ne rompeva i vetri), a non lasciarla sola quando entrava in un locale o in un negozio, a non credere più alle sue bugie. E se succedeva qualcosa, potete star certi che Emma c’entrava in qualche modo. Aveva scoperto presto che la cosina che aveva fra le gambe poteva essere sfruttata per ottenere un certo ascendente sui ragazzi del posto, e non aveva esitato a farlo, dapprima facendola vedere e magari toccare, in cambio magari di un giro in moto o di complicità o di alibi per certe situazioni; poi, scoperto il sesso, dandola via a qualche generoso adulto in cambio di una somma consistente, o di un motorino, o di altro. Tutto sommato era abbastanza carina, e la sua aria da troietta ribelle, unita alla giovane età, facevano in modo da procurarle diversi “spasimanti” che in cambio di qualche prestazione le procuravano ciò che lei chiedeva, oltre a complicità e protezione. Finché incappò in una brutta storia, che la costrinse ad andarsene (con grande sollievo della tranquilla popolazione del paese).

Aveva preso di mira un gruppo di ragazzini, mettendosi in testa l’idea di trasformarli in suoi aiutanti per attuare i piccoli furti e le malefatte che organizzava. Erano una banda di 7-8 elementi, dai 13 ai 16 anni, con tanto di sede del “club” in una baracca abbandonata, un po’ fuori dal paese. Lì si riunivano per fumare di nascosto, per scambiarsi confidenze “segrete”, lì raccoglievano e nascondevano i loro piccoli tesori (vecchi copertoni, la collezione di tappi e di lattine, le sigarette rubate ai padri). E non avevano la minima intenzione di accogliere fra di loro una ragazzina (figuriamoci!), tanto meno di farla diventare loro capo.

Emma le aveva provate un po’ tutte: li pregò, raccontando bugie sul fatto che si sentiva sola e abbandonata, ma quelli non stettero nemmeno a sentirla; minacciò di raccontare ai loro genitori certe marachelle di cui era a conoscenza, ma quelli le promisero che l’avrebbero picchiata se l’avesse fatto; li allettò con promesse del tipo ‘ve la faccio toccare se mi prendete con voi’, ma (data la loro età) quelli non erano per niente interessati, a parte forse i due più grandicelli che però, per solidarietà con gli altri, la rifiutarono; arrivò persino a sfidarli, insultandoli e chiamandoli buoni a nulla, ma loro non raccolsero e se ne fregarono altamente. Ormai era diventata una questione di puntiglio, e decise che gliela avrebbe fatta pagare.

Conosceva dov’era il loro “covo”, e per vendicarsi dell’affronto decise che vi avrebbe fatto una visitina, prendendo quello che c’era da prendere e distruggendo il resto. Approfittando del fatto che lei rincasava quando le pareva (la nonna aveva provato a punirla per quello, ma lei le aveva risposto per le rime e se ne fregava altamente delle proibizioni, e delle relative punizioni), una notte mise in atto la vendetta.

Raggiunta la baracca, non fu un problema per lei, minuta ed agile, arrampicarsi sino alla finestra e sfondarne le imposte mezze marce, e calarsi nel locale. Grazie alla luce di un accendino, trovò la vecchia lampada a gas usata dai ragazzi e l’accese, e cominciò a rovistare dappertutto, sistematicamente. Trovò un mezzo pacchetto di sigarette, che si mise in tasca; sfondò o ammaccò le lattine raccolte in bell’ordine; buttò all’aria la raccolta di tappi, strappò i giornali e distrusse tutto quello che poteva distruggere. E come atto finale di disprezzo sistemò al centro della stanza, a terra, la “bandiera”, una pezza celeste su cui avevano disegnato il loro simbolo, si tirò giù i jeans e ci defecò e urinò sopra. Quindi, soddisfatta, sistemò un biglietto con alcune ingiurie sul “ricordino” e se ne andò per dove era venuta (la porta era sbarrata da una robusta catena con lucchetto).

Il pomeriggio successivo, quando i ragazzini andarono al covo, non ci misero molto a sospettare chi fosse stato a combinare tutto quel macello, sospetti subito confermati dal contenuto del biglietto ritrovato sulla... decorazione che umiliava lo loro bandiera.

Marco, che era il più grande ed era il capo del gruppo, decise subito che bisognava fare vendetta: -“Quella stronza la deve pagare, e la deve pagare cara! Nessuno può permettersi di farci questo, e passarla liscia! Dobbiamo organizzarci!”- La proposta naturalmente fu subito approvata da tutti, anche se nessuno al momento riusciva a metter su un’idea sul cosa fare. –“Dobbiamo spararla!”- fece Andrea, uno dei più piccoli, piuttosto nervoso ed ipereccitato –“prepariamo una imboscata e la facciamo fuori...”- “Sì, bravo! Così quando la ritrovano ci sbattono tutti in galera!”- rispose un altro, con un po’ più di buon senso. –“E poi, come facciamo a spararla se non abbiamo nemmeno la pistola...”- concluse un terzo.

La discussione andò avanti per un pezzo, e ognuno proponeva idee più o meno fantasiose ed irrealizzabili, fin quando Marco ordinò di smetterla: -“Basta! Così non concludiamo niente! Cerchiamo piuttosto di rimettere un po’ in ordine qui dentro, e intanto cerchiamo di farci venire qualche idea seria, che possiamo fare senza correre troppi rischi. Pensiamoci, e poi domani pomeriggio ne discutiamo. Adesso diamoci una mossa!”- Discutendo fra di loro, i ragazzini iniziarono a ripulire il locale cercando di salvare quello che potevano. –“La puttana si è fregata le sigarette”- annunciò triste Ginetto, che era uno di quelli che fumava. –“Guardate qua che ha combinato!”- constatò un altro. –“Che troia bastarda! Se la acchiappo...”- Cercarono di rimettere a posto alla meno peggio.

Il giorno successivo Marco, da bravo capo, aveva formulato una linea d’azione e cercò di spiegarla agli altri: -“Per prima cosa, niente omicidi e niente torture”- smorzò sul nascere le idee più bellicose –“dovremo cercare di dare a quella una lezione che non se la deve scordare facilmente, ma non ci dovranno essere rischi per noi, se no passiamo un guaio.”-

-“Io ho pensato che se la spaventiamo come si deve, senza ferirla seriamente e senza lasciare prove che siamo stati noi, nessuno potrà dirci o farci niente. Potremo sempre dire che si è inventata tutto per qualche motivo suo, e i grandi crederanno più a noi che a lei, con la reputazione che ha... Allora, che ne dite?”- Sembrava una buona idea, e gli altri furono d’accordo. –“Allora faremo così,”- continuò il ragazzo –“le prepariamo una trappola, in modo che lei si trovi da sola, la acchiappiamo e la portiamo nel bosco, vicino alla sorgente, ad un paio di chilometri da qua, che è un posto abbastanza solitario e possiamo stare tranquilli. La leghiamo ad un albero e la spaventiamo per bene, per esempio facendola nera di botte, e la lasciamo lì. Se nessuno la trova fino alla sera, allora la andiamo a liberare noi e le facciamo capire di non riprovarci più. D’accordo?”-

-“D’accordo!”- risposero tutti. –“Ma come facciamo ad acchiapparla?”- chiese Ginetto, il vice. –“E’ semplice. Quella stronza non viene a scuola, e quasi tutte le mattine se ne va col motorino a...”- e Marco nominò un paese vicino. –“Appena finito di mangiare, ci vediamo e andiamo ad aspettarla alla curva della cava. Quando arriva, la fermiamo con la scusa che le dobbiamo parlare e la acchiappiamo. Da là alla sorgente c’è poco più di un chilometro di strada. Che te ne sembra della mia idea?”- “Mmh!... Sì, credo che si può fare.”- approvò l’altro.

Si misero d’accordo sui dettagli, e si diedero appuntamento direttamente sul posto dell’agguato. Il giorno dopo, tutti eccitati per “l’azione”, si ritrovarono nel posto concordato. E un’oretta dopo arrivò anche la vittima. Tutto andò più o meno come previsto. Emma vide il gruppetto di ragazzini seduti sul muretto che delimitava la strada e si fermò a qualche metro; quelli si avvicinarono come se volessero parlarle, poi tutti insieme le saltarono addosso e la immobilizzarono; le legarono i polsi e la bendarono; uno dei ragazzi prese il motorino, e portarono Emma al posto prescelto.

Scelsero un albero piuttosto grosso ed alto, e vi legarono la ragazzina facendole passare i polsi attorno al fusto come se lo stesse abbracciando; poi uno dei ragazzini prese un ramo e vi legò un capo di un pezzo di corda, in modo da formare una frusta rudimentale, e cominciò a menare dei colpi sulle gambe e sui glutei di Emma, senza peraltro farle granché male data la poca flessibilità dell’attrezzo e la protezione dei pantaloni.

Emma, che aveva cercato di divincolarsi e di reagire fino a che era stata legata all’albero, fin dal primo momento aveva preso ad inveire contro i ragazzini e a smoccolare bestemmie, e quando sentì i primi colpi raddoppiò la dose; e quelli rimasero piuttosto delusi dal fatto che, invece di lamentarsi, la ragazzina li minacciava. – “Leviamole i pantaloni.”- propose Ugo. Gli altri furono subito entusiasti per l’idea: un paio di loro tennero bloccati a terra i piedi di Emma, mentre un altro le tirava giù pantaloni e mutandine.

Abbracciata all’albero, e nuda dalla cintola in giù, Emma offriva uno spettacolo esaltante alla banda di ragazzini, che subito presero ad allungare le mani per toccarle le natiche sode e nervose, ridendo tutti eccitati. La ragazzina strillava come un’aquila, forse sperando di attirare l’attenzione di qualcuno, ma i ragazzini non se ne diedero per inteso. Qualcuno ne approfittò per dare un’occhiata al davanti, e rimase un po’ sconcertato di fronte al pube ricoperto da un folto pelo scuro, più folto di quello di chiunque di loro. Marco si mise in posizione ed iniziò a sculacciarla più forte che poteva, e stavolta la reazione di Emma li soddisfece, anche se la ragazzina urlava e piangeva più per l’orgoglio ferito che per il dolore vero e proprio (dopotutto, ne aveva prese di botte e ci aveva fatto l’abitudine. E gli adulti picchiavano più forte ed in maniera più esperta di quella banda di ragazzini).





Un po’ tutti vollero tirare qualche schiaffo, ed il sedere di Emma divenne ben presto rosso fuoco; quando si furono stancati di quella punizione, erano tutti euforici ed eccitati, e ai più grandicelli si era pure rizzato il pisello, e cercarono qualche altro modo per completare l’opera. Marco, più smaliziato degli altri, approfittò della pausa per tastare le natiche della ragazzina; poi le allargò e mise in mostra lo sfintere anale: -“Guardate che culo, ragazzi! Qualcuno vuole farci qualcosa?”- Risate generali; uno allungò una mano e ci infilò in dito, e subito anche gli altri vollero imitarlo, e l’eccitazione del gruppo salì alle stelle: parecchie dita fecero il loro ingresso nel buco, sempre più frequentemente e sempre più in profondità, mentre Emma continuava a piangere e ad inveire.

Qualcuno propose di infilare un ramo, ma Marco era di tutt’altra idea. Fece portare più in basso le braccia della ragazzina, costringendola così a chinarsi, e le tirò indietro il bacino; poi le si piazzò dietro, tirò fuori il pisello e prese a strofinarlo sulle natiche, lungo il solco del sedere e contro la passerina. Arrapato com’era, in pochi secondi venne. Naturalmente tutti vollero fare lo stesso, compresi i più piccoli a cui, data l’età, non si era nemmeno rizzato. Però, pur non provando tutto sommato niente, vollero provarci lo stesso, per essere uguali agli altri.

Ginetto si tolse lo sfizio di andare a curiosare fra le cosce della ragazzina. Dapprima da dietro divaricò le grandi labbra: trovato il foro, ci mise un dito muovendolo di gusto, fra le proteste veementi di Emma, e più lei gridava più lui affondava il dito; poi vide il clitoride, e rimase alquanto stupito: per quanto ne sapeva lui le ragazze avevano il buco, non il pisello, seppure minuscolo. Fece notare la stranezza agli altri e tutti vollero vedere; e Ginetto si spostò sul davanti per continuare ad indagare sul “fenomeno”.

Si accosciò sotto la ragazzina chinata e prese a frugarle tra il pelo, mentre gli altri da dietro continuavano a tastarla dappertutto e qualcuno continuava a ficcarle un dito nel culo o nella fichetta. Localizzata la... sporgenza, la strinse tra le dita per vederne la consistenza e l’effetto che faceva: Emma, non appena si sentì toccare quel punto sensibilissimo, con un urlo di dolore mollò una ginocchiata al suo... torturatore, colpendolo al volto.

Dolorante, il ragazzino si rialzò e, fatti spostare gli altri, si vendicò pizzicandole forte le piccole e le grandi labbra (Emma, con i pantaloni alle caviglie, non poteva tirare calci all’indietro); poi, soddisfatto, tirò di nuovo fuori il pisello ed urinò sulla natica e sulla coscia di lei, fra i commenti entusiastici degli altri che vollero seguire l’esempio, e gli strepiti della ragazzina, dolorante ed umiliata.

Dopo aver pisciato addosso ad Emma (-“Così impari a cagare sulla nostra bandiera!”- esclamò Marco svuotando la vescica), finalmente i ragazzini se ne andarono, abbandonandola legata e semi nuda.

La ragazzina, non appena quelli se ne furono andati, iniziò a divincolarsi per cercare di sciogliere in qualche modo i nodi, senza peraltro ottenere granché. La corda che le univa i polsi era robusta e non si sarebbe rotta, e i nodi erano troppo stretti perché col movimento potessero allentarsi, anzi le stavano procurando delle vistose escoriazioni. E la benda, non se ne parlava proprio. Disperando di riuscire a liberarsi, e sentendosi umiliata per ciò che le avevano fatto, scoppiò in un pianto dirotto. Quando riuscì a calmarsi un poco, decise di provare a chiamare aiuto. Anche se l’avessero vista esposta in quel modo, era sempre meglio che rimanere legata per chissà quando, ed anzi chiunque l’avesse trovata avrebbe potuto testimoniare in che stato era: gliela avrebbe fatta pagare, a quella banda di stronzetti!!!

Cominciò ad urlare, a voce sempre più alta, ma pareva che quel giorno nessuno si trovasse a portata di udito. L’unica cosa che ottenne fu di far scappare tordi e cornacchie, e forse qualche lepre che si aggirava nei dintorni. Era già una mezz’ora buona che urlava, quando le sembrò di sentire un fruscìo: un terrier era sbucato dai cespugli e la fissava. Emma pensò che ci fosse qualcuno: -“Aiuto! Per piacere slegatemi!”- Ma ovviamente nessuno rispose. Il cane le si avvicinò, annusando i pantaloni intrisi di urina ai suoi piedi. La ragazzina ebbe un moto di paura, sentendo un naso umido che le sfiorava il polpaccio, e tentò di scacciarlo muovendo come poteva la gamba. Il cane si allontanò.

Rassegnata, Emma cercò di trovare una posizione più comoda, e riuscì ad inginocchiarsi e ad accucciarsi, risparmiando le forze. Passò un’altra mezz’ora, e sentì un altro rumore, questa volta alle sue spalle. Pensando fosse un altro animale, cercò di rialzarsi per poterlo scacciare.

-“Romolo! Carlo! Venite un po’ qua!”- chiamò una voce sconosciuta –“Venite a vedere cosa ho trovato!”-

-‘Oddio, ti ringrazio! Finalmente qualcuno mi ha trovato!’- pensò Emma –“Per favore...”-

-“Tonio! ‘Ndo stai?!”- “So’ qua! Venite!”-

Altri due uomini si affacciarono. Tutti e tre indossavano la classica tenuta dei cacciatori, con tanto di carniere e di fucile a tracolla.

-“E che hai trovato, una tana di volpi argentate?!”- ironizzò Romolo, un tipo sui 45 anni, piuttosto alto e robusto. –“Guarda un po’!”- indicò Tonio, basso e grosso, sui 50 anni, con un principio di calvizie.

-“Anvedi che culetto!!”- Emma cominciò a spazientirsi. –“Finitela di stare a guadare e scioglietemi, per favore!”- chiese con un tono imperioso, ma non fu ascoltata.

-“Che sarà, un nuovo tipo di esca?”-

-“Sì! Per gli uccelli di passaggio!”- Carlo, anche lui sui 45 anni, tarchiato e con una folta barba rossiccia, poggiò carniere e fucile a terra e si attaccò alla fiasca, bevendo un lungo sorso. –“E’ meglio si ce n’annamo, che se arriva qualcuno finiamo nei guai. Ricordatevi che qua nun se po’ caccià!”-

-“E noi nun stamo mica a caccià! La volpina là stava già legata”-

-“Ma che intenzioni c’hai, mica te la vuoi fare?!”-

Tonio si stava massaggiando la patta -“Perché no! E che, un culo così lo volete lascià perde’?”-

-“Ma dai! Potrebbe essere tua nipote!”-

-“Io nun c’ho nipoti. E se c’avessi ‘na nipotina così, me la sarei già inculata!”- e Tonio si avvicinò alla ragazzina –“Guarda che bella roba!”- accarezzò le natiche scoperte.

Emma cercò di sottrarsi alle palpate –“Lasciami stare, brutto stronzo! Vatti a tastare il culo di tua moglie!”-

-“Bono quello!”- rise l’uomo. Poi si fece serio –“Senti regazzì’! Tu non sei in condizioni di fare niente, quindi stattene buona. Non ti faremo niente di male, anzi vedrai che ti divertirai. E se collabori, può esse’ che ci scappa pure un regalino.”- e passò un dito lungo la passerina.

-“Non ci provare, vecchio porco, se no ti denuncio!”- Emma cercò di chiudere le gambe, ma non potè opporre molta resistenza. Gli altri due rimanevano a guardare.

-“E a chi denunci, a Babbo Natale?”- e infilò di forza un dito nella fighetta. –“Ehi! E’ aperta!”- annunciò agli altri –“Questa stronzetta ha già assaggiato il cazzo!”-

-“Lasciala perde’! Che ne capisci tu, se è vergine?!”- Romolo si avvicinò a sua volta.

-“E prova, tu che fai tanto l’esperto!”- Romolo esitò un momento, poi infilò l’indice a sua volta. –“E’ vero!”- si rivolse al terzo, cercando di arrivare il più in fondo possibile per assicurarsene. Suo malgrado, Emma emise un po’ di liquido, più che altro dovuta alla stimolazione meccanica. –“E mi sa tanto che ci trova pure gusto!”- fece l’uomo, cominciando a muovere il dito.

-“Brutti stronzi! Porci vigliacchi! Smettetela!”- urlò la ragazzina, ma i due non se ne dettero per inteso. Tonio prese a stimolare lo sfintere anale con l’indice, poi di colpo lo cacciò dentro, tutto, e cominciò a rigirarlo, mentre l’altro tirava fuori il dito e lo annusava –“Mmmhh!... Che profumino!”- fece, cacciandoselo in bocca –“E che sapore!”-

Tonio sfilò il dito e lo rimise dentro, ripetendo più volte il gesto, sempre più veloce, cercando di allargare il buco; poi liberò l’uccello, tozzo e bitorzoluto, menandoselo un po’ per prepararlo, e si sistemò dietro la ragazzina; fece colare un po’ di saliva sul foro, in parte dilatato, spalmandola col un dito attorno e dentro l’apertura; vi appoggiò il glande, prendendo Emma per i fianchi; e affondò il colpo, deciso, cercando di farlo entrare tutto in una volta.

Emma, in seguito all’introduzione senza tanti complimenti del dito, si sentiva bruciare l’orifizio; e quando l’uomo si introdusse prepotentemente nel suo culetto, nonostante fosse già stata presa altre volte in quel modo, sentì una fitta di dolore e urlò e cercò ancora di divincolarsi, ma quello la teneva ben salda e prese a montarla a suo piacimento, spingendo bruscamente, ritirandosi e riempiendola di nuovo, a ritmo sostenuto. –“Non gridare, e cerca di goderti il giocattolino, finché è duro!”- fece l’uomo, mentre l’altro, Romolo, aveva allungato le mani sotto la camicia e le pizzicava i capezzoli. Il terzo si avvicinò al gruppetto, senza fare nulla.

L’inculata durò alcuni minuti, che ad Emma parvero anni, durante i quali ad ogni spinta si sentiva squassare le viscere ed aumentare il bruciore, e servì a ben poco il fatto che ad un certo punto l’uomo aveva spostato una mano sul clitoride cercando di stuzzicarla: non ne ricavava alcun piacere, anzi la faceva sentire ancora più impotente ed umiliata. Quando Dio volle, Tonio finalmente le schizzò di sperma natiche e cosce, ripulendo il glande strofinandolo contro una natica, e la lasciò andare.

Emma sperò che fosse finita: gli altri due non sembravano particolarmente decisi a farsela. Uno, sicuramente Carlo visto che l’altro non aveva smesso di stuzzicarle le tette, la ripulì con un fazzolettino. Poi la ragazzina sentì che stavano tagliando la corda che le teneva uniti i polsi, e poté finalmente staccarsi dall’albero. Fece per levarsi la benda, ma gli altri due le afferrarono i polsi e glieli portarono dietro la schiena, legandoglieli di nuovo.

Fu fatta sedere a terra (Emma avvertì il contatto con della stoffa sotto il sedere) ed uno le tolse i pantaloni e le mutandine dalle caviglie, mentre l’altro le sbottonava la camicia. La ragazzina cercò ancora di opporsi, senza molte speranze. Sentì una barba solleticarle il seno, e contemporaneamente una bocca si chiuse su di un capezzolo, succhiandolo e stringendolo tra i denti, mentre una mano le lisciava il pelo pubico, si insinuava tra le gambe carezzandole l’interno delle cosce, e un dito premeva con insistenza sulla clitoride.

Sentì l’odore acre e muschiato di un uomo, o meglio del suo cazzo, e udì i rumori che faceva nel masturbarsi. Poi si sentì aprire le gambe, e la mano che la carezzava si fece più insistente, massaggiando con forza lungo il solco delle grandi labbra. Dopo qualche attimo, un dito fu introdotto nella vagina, fino alla base, e prese a premere contro le pareti del canale; ancora qualche attimo, ed un secondo dito lo raggiunse, dilatando il buchetto. Le dita furono tolte, e le gambe furono aperte ancora di più; poi una lingua prese a circolare sulla vulva, girando attorno alle piccole labbra, entrando nell’apertura, risalendo su fino alla clitoride; le dita ripresero il loro posto e il loro lavoro, mentre le labbra afferravano la clitoride e la stringevano, la succhiavano; e l’altra bocca continuava a stimolarle le areole e a succhiarle i capezzoli.

Nonostante tutto, Emma non ce la fece a resistere a quel lavorìo e venne. Non fu un orgasmo esaltante, né gratificante per lei, che anzi si sentì ancora più umiliata.

-“Toh! La signorina ha goduto!”- annunciò Romolo, che era quello sistemato fra le gambe della ragazzina.

-“Evidentemente le è piaciuto il servizio.”- commentò Carlo –“Adesso però ci deve restituire il favore!”-

-“Giusto!”- approvò Romolo –“Adesso tocca a noi, divertirci!”- Così dicendo si mise sulle ginocchia, e prese la ragazzina per i fianchi, sistemando il sedere di lei sulle sue cosce; poi le spalancò le gambe, mettendosele ai lati, e tornò ad infilarle due dita nella fica. Con l’altra mano tirò fuori l’uccello, già in piena erezione, e lo preparò. La penetrò senza troppi riguardi, spingendolo dentro con forza, prima con la mano e poi col bacino, fino all’attaccatura dei testicoli, mentre Carlo si era messo a cavalcioni sul petto di lei e strofinava il glande sui capezzoli.

Emma riprese a piangere, rassegnata. Si sentiva oscenamente aperta, impotente, violata nell’intimo, sia fisicamente che psicologicamente. Non aveva neanche cercato di irrigidirsi per evitare la penetrazione, per paura che le cose potessero peggiorare, e subiva passivamente l’invasione da parte dell’uomo, cercando di estraniarsi, come se la cosa non la riguardasse. Lasciò che facessero quello che volevano, sperando solo che finissero presto.

Carlo le aveva preso la testa fra le mani e le aveva poggiato il cazzo sulle labbra. –“Forza, succhialo! E bada a non fare scherzi”- intimò –“altrimenti giuro che ti ficco la doppietta nel culo e tiro il grilletto. Capito?”-

Emma obbediente aprì la bocca, e l’uomo gliela riempì, muovendole la testa. L’altro, Romolo, la stava pompando a tutto spiano, ed in pochi minuti venne, seminandole di sperma il basso ventre. Anche Carlo non ci mise molto a godere di quel pompino forzato, e non si preoccupò neanche di tirare fuori l’uccello: le schizzò direttamente il liquido in bocca, e la ragazzina dovette reprimere alcuni conati di vomito.

Il terzo, Tonio, aveva osservato la scena con interesse, e gli era tornata la voglia, sotto forma di una nuova erezione. Quando gli altri due terminarono, non ci pensò due volte a stendersi al fianco di Emma; poi con l’aiuto dei compagni si sistemò la ragazzina a cavalcioni della sua grossa pancia e le piantò l’uccello nella fichetta.

-“Vuoi giocare a cavalluccio con lo zio?”- fece, invitandola a muoversi, ma Emma era assente. –“Dai! Fai la brava!”- insistette, prendendola per i fianchi e spingendola verso il basso per penetrarla meglio, e poi verso l’alto; ma non ottenne alcuna reazione.

-“Aspetta”- fece Carlo, e fatta piegare la ragazzina in avanti, le inserì due dita nel sedere. Poi cominciò a sollevarla di forza, e a farla ricadere. –“Adesso va meglio, no?”- rise, accelerando il su e giù. Tonio se la godeva beatamente, stringendo fra le mani i seni di Emma.

Dopo un po’ Carlo si sistemò in posizione, tolse le dita e le sostituì col suo cazzo, prendendo a spingere con forza. Emma, dopo un breve urlo strozzato, si abbandonò sul corpo sotto di lei continuando a subire in silenzio la doppia violazione del suo corpo. Riuscì ad estraniarsi in maniera quasi completa, al punto da non accorgersi nemmeno quando Carlo le riempì il retto col suo seme e lasciò il posto a Romolo; il quale non aspettò neanche che il buco accennasse a richiudersi, e continuò la violenza a ritmo ancor più veloce del primo.

I due uomini vennero quasi in contemporanea, poi finalmente la mollarono. Per fortuna di Emma, appena prima di andarsene uno di essi allentò i nodi che le stringevano i polsi, cosicché la ragazzina, recuperata un po’ di coscienza, poté sciogliersi e togliersi la benda.

Tornò a casa meccanicamente, e tentò di togliere lo sporco che si sentiva addosso e dentro con un lungo bagno caldo. La nonna, come sempre, inizialmente non si accorse di nulla; cominciò a preoccuparsi solo un paio di giorni dopo, vedendo che la nipote non usciva più di casa né per andare a scuola né per altro, e non spiccicava parola nemmeno per dirle di farsi gli affari suoi quando le chiese cosa aveva.

Fu chiamato un medico. Il quale, con una visita accurata ed un lungo e paziente lavoro psicologico, riuscì a capire e a farsi raccontare quello che era successo, e dietro suo consiglio Emma venne sistemata in un centro di recupero. Per sua fortuna, è riuscita a superare quasi del tutto il trauma ed oggi vive una vita quasi normale, e lavora presso una Università dove io l’ho conosciuta.
 
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