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Doppio turno per Den

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Skardy94
view post Posted on 12/2/2009, 15:38





Usciva dal turno del mattino e si fiondava a casa.
Lei era dietro la porta, coperta solo da un piccolo perizoma di seta. La prendeva lì in piedi senza dire una parola, spostava leggermente l’intimo ricamo e due labbra glabre ed umide fagocitavano il suo complice tumido di voglia assassina.
Gemeva e si dimenava, poi quando il piacere iniziava a salirle dentro le mordeva e succhiava i capezzoli, urlava di un piacere disperato, la sodomizzava con due o tre dita, a volte con degli oggetti che lei aveva già lubrificato per l’uso.
Gli diceva “fottimi fottimi fottimi, sono la tua troia” lui sapeva che mentiva, non era solo sua.
Dietro la porta la vicina origliava e strofinava il suo fiammiferino sino a farlo bruciare.
Poi la stanttuffava a fondo, nell’angolo fra la porta e il muro, le veniva dentro con la rabbia degli ultimi sussulti, lei avvinghiandosi come un coala gli diceva “non uscire, ma…usciamo sul pianerottolo”.
Apriva la porta e, la piccola fiammiferaia era lì che si contorceva nel calore del suo incendio.
La portavano dentro e la spegnevano.

Turno di notte per Den

La sua collega dopo aver sistemato la piccola stanza della medicheria, pulito i carrelli, aggiornata la terapia, preparato le fleboclisi, passato lo straccio sul tavolo di formica bianco, ed altri piccoli lavoretti, si ritirava su una brandina e si addormentava come un angioletto, lui si sentiva così diavolo mentre la spiava nel sonno che… ma questa è un’altra storia. Den gironzolava per il reparto a controllare che tutti i clienti riposassero, se così non era provvedeva con qualche goccina di valium. Durante questi suoi giri notturni, agganciava quasi sempre qualche assistente e, così scalavano la notte facendosi compagnia. Una volta, Den racconta, entrò un paziente mentre la tipa lo stava smorzando con una voluttà da ultima sigaretta. Disse “ o cazzo, ma che fate…” lui prese la testa di lei e la ficcò dritta fra le gambe del vecchio, prima che lui potesse rimostrare qualcosa, gli calò il pigiama quel tanto e iniziò a lavorarselo ben bene. Il tizio non fece rimostranze e non chiese l’ansiolitico per la notte.

In turno con Arbè

Arbè era il nome del mio collega, fu un periodo disgraziatissimo, quando mii toccò turnare con un maschio, dopo un sei mesi di colleghe femmine, la cosa non mi piaceveva per niente. Devo dirvi la verità, con le donne lavoro meglio, innanzitutto perché non parlano quasi mai di calcio al lunedì, non parlano di motori perché ne capiscono poco come me, ma soprattutto perché sotto la divisa indossano della biancheria intima piena di sensuale voluttà che sembra un tuttuno con la pelle. Infine perché si instaura un rapporto fatto di quei doppi sensi che mantengono vivace e accettabile il fatto che sei chiuso lì fra quattro mura per otto ore, a pulire dei culi enormi e sfiancati a cui prima hai fatto un gigantesco clistere, perché in ospedale sembra che la cosa che interessi di più a tutti sia cacare. L’ammalato tipo ti chiede spasmodicamente - “ infermiere oggi mi sento costipato, ho fatto tanta aria ma… vorrei qualcosa per andare di corpo.” Il dottore luminare dell’anno -“ infermiere hanno evacuato il letto numero 12, il 24 e il 32 ? Sono due giorni che mi assillano per un clistere! ” Caro il mio dottore, porta il tuo bel nasino, abituato alle essenze orientali del tuo studio privato o all’arbre-magique del tuo mercedes, dentro alla corsia…l’odore di merda è inequivocabile, così umano e così finale, così vero nel dirti le abitudini alimentari e intestinali delle persone e poi scusi, ma al letto dodici e al ventiquattro abbiano due nuovi clienti. Il sig. G. e il sig. T. sono stati dimessi ieri. Vorrei essere lontano da qui, da questo riempirsi i polmoni dei respiri di un’umanità sofferente e, i coglioni di una disumanità deflagrante, mentre la maggioranza del mondo se ne sta là fuori e lascia noi a sobbarcarsi delle loro piccole e sconvenienti paure. Cosa può salvarti da tutto questo se non un profumo di donna, le battutine sul filo del dire e non dire, gli sguardi complici, lo sfiorarsi apparentemente involontario, ma in realtà cercato e voluto, da entrambi… nulla può salvarti se non l’idea, che può rimanere anche solo speranza, ma spesso invece diventa possibilità, di poterti chiavare la tua collega.
Arbè è tutto tranne che chiavabile, alto quanto basta, largo molto di più, parla solo di calcio o di soldi, oramai vicino alla pensione, sente il peso della fregatura sulle spalle, ma non si arrende e insiste a prendersela con tutti e per cose da niente. Arbè però l’altra notte mi ha stupito.
Eravamo circa a metà del turno, stavo sistemando la terapia per il mattino e, mentre bestemmiavo sottovoce per l’indecifrabile scrittura del medico di guardia, Arbè mi disse-“ dé Teo l’hai vista l’assistente del 15, quella un po’ in carne… stanotte me la trombo “-
“Arbè ma è una balena, come cazzo fai a fotterti una tipa del genere” -“ dèee bello alla mia età non si scarta più niente e poi mi sa tanto di una gran porca a letto”-
“ mah, a me sembra proprio una scrofa… attento alle scoregge, mi hanno detto che le ciccione quando si eccitano fanno dei venti assurdi”
-“ va be, te coprimi con la suora, a tappargli i fiordi ci penso io-“
Suor Gertrude era la caposala in pianta stabile, dormiva, mangiava, defecava, pregava, insomma penava in quel suo francobollo di vita che era il reparto ospedaliero. La fregatura era che poteva capitarti fra i piedi in ogni momento, del giorno e della notte, con passo felpato e occhio inquisitore e, con un accento che tradiva le sue origini veneziane ti diceva-“ fiol den fiol, cosa te combini, su forza svegia, svegia laorare, laorare forsa” Questo lo diceva sempre a prescindere. Era trascorsa circa mezz’ora da quando Arbè si era appartato nello studiolo delle visite diurne, me lo immaginavo alle prese con l’immane fatica di trovare una posizione giusta per fottersi il donnone. Lo vedevo mentre la girava e rigirava, lentamente, per cercare un pertugio che fosse la fica o il buco del culo, ma credo che alla fine si dovesse accontentare di penetrare qualche piega di lardo in esubero. “Mah povero Arbè” pensavo e ridacchiavo fra me, con compiaciuta libidine. Improvvisamente sentii tuonare il vocione della Gertrude, che inveiva da dietro la porta di Arbè, poi sentii un fracasso di mobilia, sedie e tavoli che cadevano, immaginai la balena che con un colpo di coda, anzi di culo, tentasse una fuga disperata dal finestrino posteriore dello studio. Arbè polifracassato, spiaccicato sul pavimento… forse non era il mobilio, ma le sue ossa a fare il sinistro rumore. Suor Gertrude che come il capitano Achab impugnava un arpione vendicatore, gridava “ fiol den fiol sporcacion ven fori, ven fori”.
Mobidik aveva nel frattempo recuperato la sua posizione vicino al giaciglio del proprio assistito, con insospettata agilità… chissà forse anche a letto…mah.
Arbè aprì la porta, guardò la suora con stizza e gli disse “- che cazzo, fai anche la gelosa ora?-“
La suora, con lacrimoni grandi quanto la sua infelicità, si ritirò nella sua piccola cella.
(Paolo Lazzini) Teo
 
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