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A1 riprende il viaggio., Genere tradimenti

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JohnK
view post Posted on 26/3/2009, 15:00




di cinzia1972
scritto il 25-02-2009

A1 riprende il viaggio.

Dopo quella chiavata a base di cazzo e, salame riprendemmo il viaggio. Sentivo il bisogno di lavarmi e soprattutto di indossare qualcosa che esaltasse la mia femminilità nella valigia riposta nel baule, avevo quello che mi avrebbe resa più appetibile agli occhi del mio anonimo amante.
Non m’interessava sapere come si chiamava, e tanto meno a lui interessava il mio nome, quindi mettemmo da parte le frasi fatte e, le parole inutili.
Alle nove, entrammo nell’aria di servizio di “Bisenzio”, in quasi tre ore avevo percorso 121 km, ma bisogna tener conto della sosta fatta per rifocillare stomaco e fica che durò una quarantina di minuti.
Presi dal baule la “valigia”, in verità non era una vera valigia, bensì un borsone che usavo quando andavo in palestra. Entrammo nell’autogrill e ci dirigemmo verso le rispettive toilette. “non mettere roba che poi non ti serve” mi disse il mio amico prima di entrare nei cessi.
Contrariamente a quello che si pensa, i bagni erano pulitissimi entrai. Dopo fatto pipì, mi lavai.
Quando uscì, lui era già vicino alla macchina a stento mi riconobbe. “ti ho riconosciuta dal borsone” disse guardandomi dal basso in alto.

Che cosa vedevano i suoi occhi? Una donna prossima alla quarantina ben fatta con addosso una minigonna elasticizzata verde militare con chiusura a portafoglio, ai piedi dei sandali con laccetti incrociati ai polpacci, sopra un top senza spalline di color fucsia che mi lasciava scoperto il ventre. Mi ero rifatta il trucco e, aggiustata i capelli. Le cosce tornite ancora abbronzate dal sole di luglio e dalle molte lampade, luccicavano come il resto del corpo sotto i raggi di un sole ancora tiepido.
Anche lui, si era rifatto il “look”, aveva sempre dei jeans, ma stavolta lunghi delle scarpette da ginnastica, e una camicia bianca a maniche corte alquanto stropicciata.
- lascia che guidi io. – mi disse afferrando le chiavi che avevo in mano.
- non ti fidi? – gli risposi trattenendo le chiavi.
- non è questo te la cavi bene, anche se sei un po’ lenta. Se guido io sei più libera di fare certe cose.
- ad esempio?
- dammi le chiavi e vedrai.
- ce l’hai la patente?
- da una vita non temere sali. – mi fidai. Ci rimettemmo sull’autostrada, alle nove e quaranta.
- sotto cosa hai messo?
- niente come mi avevi detto. – eravamo dietro a un TIR“Tizio”, (lo chiamerò così d’ora in poi) lampeggiò diverse volte, poi mise la freccia e si apprestò a sorpassarlo, ma senza brusche accelerazioni dolcemente. Si affiancò alla cabina del camion, mi mise la mano sulla coscia e iniziò ad accarezzarla. Con
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malizia guardai il camionista.
- cosa fa? – mi chiese Tizio accarezzandomi con più trasporto.
- guarda. – risposi divaricando le gambe quel tanto da consentire alla sua mano di infilarsi sotto la mini che grazie alla sua elasticità, si era accorciata a dismisura, ma riusciva ancora a coprirmi la passera dallo sguardo allupato del “camionaro”.

Anche Tizio, come Vittorio (mio marito), e tutti gli uomini che avevo conosciuto, provava piacere nel trattarmi come un oggetto da esibire agli occhi altrui. La parte della donna onesta, della moglie fedele che avevo recitato all’inizio, aveva retto poco. Fu sufficiente sentire l’odore della sua verga, l’imperturbabilità nel proporsi, la mancanza di tatto per farmi adagiare su quel tavolo.
L’autostrada del sole, non è per niente panoramica se si esclude il tratto appenninico che c’eravamo lasciati alle spalle. Offre poco agli occhi dei viaggiatori. Ma non a quelli del nostro “amico” camionista che dall’alto del suo abitacolo poteva godersi uno spettacolo alquanto stimolante. La carreggiata da un po’ si era ristretta adesso viaggiavamo su due corsie e noi eravamo su quella di sorpasso. Non potevamo continuare ancora per molto quell’idillio dietro avevano una colonna di auto che chiedevano strada. Tizio accelerò ed io salutai il camionista facendo vibrare la lingua.
La risposta al mio saluto fu una strombazzata che mi giunse alle spalle facendomi rabbrividire. Sembrava il barrito di un elefante colpito a morte. Passammo Firenze sud.
- alla prossima area di servizio fermati!
- ancora? Così davvero non arriveremo mai!
- devo chiamare mio marito.
- non hai il cell?
- certo, ma non posso chiamarlo mentre sono in macchina.
- perché?
- capirebbe che alla guida non ci sono io. – sbuffando entrò nell’aria di servizio “Chianti”. Erano quasi le dieci e avevamo percorso 147 km in quattro ore, ma dalle quattro ore dovevamo sottrarre novanta minuti e passa per le precedenti soste. Quindi, facendo i conti la media oraria con Tizio alla guida era migliorata. Dai 41 km/h iniziali eravamo passati ai quasi 140 km/h, una ragguardevole differenza.

Tizio scese, prese lo zaino e si diresse nell’autogrill. Anch’io scesi dalla macchina, mi appoggia alla portiera e chiamai Vittorio.
In pochi secondi, mi fece mille domande lo tranquillizzai su tutto dicendogli che non c’era molto traffico, il tempo era bello ecc. Poi quasi con un filo di voce, mi domandò se avevo fatto qualche incontro interessante. Gli risposi di no! Se gli avessi parlato di Tizio del salame e via discorrendo, mi avrebbe tenuto a telefono per ore. Mentre parlavo una “Mercedes” grigio perla parcheggiò a pochi centimetri da dove mi trovavo tanto vicino che se avesse aperto la portiera, mi avrebbe presa in pieno. Per fortuna non scese, era al cell anche lui. Abbassò il finestrino, spontaneamente ci guardammo. Per educazione e, anche per non far sentire la voce concitata di Vittorio che m’istigava ad avere un rapporto con un focoso camionista, mi spostai verso il muso della mia auto. “ok hai ragione non sono da solo con me c’è una splendida donna dai capelli rosso rame. Ah vuoi che te la descrivo? Bene alta un metro e sessantotto centimetri più o meno, indossa una minigonna mozzafiato ha delle cosce stupende, sopra un top corto aderente che lascia intravedere il seno prosperoso un viso d’angelo abbronzatissima, come si chiama?” mi girai divertita e gli sussurrai il mio nome. “Cinzia, si chiama Cinzia contenta!”. Chiuse il cell.
Anch’io avevo terminato la mia conversazione con mio marito.
- non mi ha creduto. – disse l’uomo scendendo dalla macchina.
- del resto come poteva pur restando fedele alla descrizione che ho fatto, ha pensato che la stessi prendendo in giro donne come lei esistono solo nell’immaginario. – mi venne vicino allungando la mano per presentarsi.
- il suo nome me l’ha già detto il mio è Franco. – ci stringemmo le mani. Franco era esattamente l’opposto di Tizio, un uomo sulla cinquantina capelli brizzolati, occhi neri, molto elegante. Indossava uno spezzato. Giacca beige e pantaloni scuri sotto camicia bianca senza cravatta ai piedi dei mocassini chiari.

M’invitò a bere qualcosa, accettai. Mentre entravamo Tizio stava uscendo, ci fissammo poi, mi passò davanti senza dir niente.
- lo conosce? Oppure anche lui è rimasto incantato dalla sua bellezza. – risposi con un sorriso. Ci sedemmo a un tavolino pur sapendo che difficilmente saremmo stati serviti. Il bar traboccava di gente, alle casse c’erano delle code interminabili. Francamente mettermi in quella ressa per un caffè non mi andava per niente. Anche Franco sembrava del mio stesso avviso cominciammo a parlare come si dice... ah del più e del meno boh!? Era di Arezzo faceva l’agente di commercio sposato con due figli e una moglie gelosissima!
- io invece ho un marito molto permissivo che, mi concede tutto.
- ... tutto... tutto! – esclamò avvicinandosi con la sedia. Stavolta decisi di essere me stessa fin dall’inizio non intendevo recitare un ruolo che non sentivo mio.
- certo tutto, tutto. Mentre tua moglie faceva la gelosa al telefono, sai il mio uomo cosa mi chiedeva? – passammo dal lei al tu con naturalezza.
- cosa ti chiedeva? – mi disse poggiandomi il braccio sulle spalle nude.
- beh non ci crederai, mi ha suggerito di farmi un camionista.
- perché proprio un camionista?
- per lui i camionisti sono dei gran depravati scopano come mandrilli. – era diventato paonazzo, mi guardava le cosce, le tette e mi cingeva a se sempre più forte.
- e tu pensi di accontentarlo? Vuoi farti un camionista o va bene anche un agente di commercio?
- non dovrebbero esserci grosse differenze, anche te come i camionisti passi delle ore alla guida di un mezzo forse la differenza sta nella grossezza di tale mezzo loro ce l’hanno più grosso. – la mia naturalezza lo scombussolava.

Che i camionisti, fossero degli assatanati di sesso, l’ho avevo sperimentato sulla mia pelle da ragazza quando vivevo ancora con i miei genitori.
Il marito di Carmela (la nostra vicina), faceva appunto il camionista. Partiva la domenica sera e tornava il venerdì successivo. “è tornato!”. Diceva mia madre quando sentiva il campanello di casa nostra suonare. Andavo ad aprire, e sulla porta c’era Sandra la figlia di Carmela.
Sandra aveva circa la mia età sua madre la mandava da noi per appagare le voglie del marito che una volta a casa cascasse il mondo, doveva chiavare.
Ci chiudevamo nella mia stanza che confinava con la camera dei suoi genitori, sentivamo tutto suo padre era inappagabile stantuffava Carmela per ore. La donna, lo supplica gli diceva di fare piano, ma quelle suppliche erano per l’uomo un incitamento a ogni lamentela infieriva sempre di più. Sandra rabbrividiva, si tappava le orecchie a me francamente la brutalità di quell’uomo non dispiaceva e, quando la mia amica andava via, mi masturbavo pensando di essere al posto della madre.
Un venerdì mattina ero sul balcone che stendevo la biancheria da asciugare. Mia madre era uscita per fare la spesa. Sento il campanello suonare vado ad aprire e mi trovo di fronte Gaetano (il camionista) con addosso un accappatoio corto di spugna color azzurrino.
- scusa Cinzia non avresti per caso del caffè? – mi disse mostrandomi il barattolo vuoto del caffè.
- entri glielo preparo io. – risposi aprendo maggiormente la porta.
- sono tornato prima Carmela è a lavorare e Sandra a scuola, mi dispiace disturbare magari se tua madre me né da un po’ lo faccio a casa mia.
- mia madre non c’è ad ogni modo non mi disturba venga. – andammo in cucina.
Gaetano, era più basso di me, aveva i capelli bianchi e anche i peli che aveva sul petto che vedevo dallo scollo dell’accappatoio erano dello stesso colore. Quante volte avevo immaginato di essere tra le sue braccia di farmi accarezzare da quelle mani tozze che adesso teneva appoggiate sul tavolo. Si era seduto con le gambe aperte in cuor mio, speravo che quell’accappatoio, si aprisse e mi mostrasse il cazzo. Di proposito feci cadere il cucchiaino che avevo in mano, nel raccoglierlo gettai lo sguardo tra le gambe non vidi niente, ma lui notò questo mio atteggiamento alquanto strano per una ragazzina. Gli versai il caffè, e quando mi girai per portarglielo aveva aperto l’accappatoio. Il suo cazzo si stava ergendo rimasi per un istante con la tazzina in mano a fissarlo lui faceva finta di niente e quando gli allungai, la tazzina la prese e mi sorrise.
- quando torna tua madre?
- non saprei, ma tardi penso. – gli risposi senza staccare gli occhi da quella verga che nel frattempo aveva raggiunto il top dell’erezione. Quel cazzo era come volevo che fosse. Dritto, chiatto (grosso), non esageratamente lungo, scapocchiato del tutto, le arterie rigonfie di sangue. Cominciò a lisciarselo.
- lo dirai a tua madre? – mi disse allungando la mano sinistra verso di me.
- non ci penso proprio. – risposi prendendogli la mano tesa.
- brava questo deve essere un segreto tra noi due nessuno deve sapere quello che faremo nemmeno mia figlia giura che manterrai il segreto.
- lo giuro! – mi attirò a se ero tra le sue cosce. Indossavo una camicia da notte di cotone molto spesso, se si escludeva la sua cortezza che metteva in bella mostra le cosce, per il resto non aveva niente di provocante, anzi era molto infantile con tutte quelle paperelle effigiate di color giallo che la ricoprivano per intero.
- hai mai fatto l’amore? – mi chiese sollevandomi la camicia.
- certo! – risposi con fierezza e, lo aiutai a togliermi quel saio.

Mi ritrovai completamente nuda sdraiata sull’incerata del tavolo che si appiccicava alla schiena sudata. Lui seduto mi leccava la fica. Dimenava la testa lateralmente frignava, aggrediva a parole e a colpi di lingua la mia povera passera che per tutta risposta gli scaricava in bocca litri di umori.
Dio come godevo su quel tavolo che la sera avrebbe visto la mia famiglia seduta intorno per cenare e, mio padre si sarebbe seduto al posto di Gaetano per mangiare una banalissima pasta asciutta mentre quest’ultimo stava mangiando la fica della figlia.
Nonostante gli avessi detto che non ero vergine, si era ripromesso di non penetrarmi, mi riteneva troppo giovane per ricevere la sua mazza, ma alla fine dopo avermi dato l’ennesimo orgasmo si alzò.
- perdonami non ce la faccio devo chiavarti. – mi tirò con le gambe trascinandomi ai margini del tavolo. Con la mano accompagnò il suo randello dentro di me. Iniziò a stantuffarmi proprio come lo sentivo fare attraverso la parete colpi ben assestati precisi, violenti urlavo dal piacere.
- ti piace eh! Dimmi ti piace?
- sì... si continua spaccamela dai... daiii... – era un toro, una furia guardava con ammirazione il suo cazzo entrare ed uscire dalla mia vulva.
- sborro Cinzia, vengo fiotto! – indietreggiò, lo sfilò e me lo adagiò sul monte di venere, alzai la testa e dopo un po’ vidi quel vulcano eruttare. Il primo fiotto fu il più copioso, mi colò lateralmente quelli che seguirono più fluidi e violenti mi arrivarono sulle tette. Quando anche l’ultima goccia venne fuori, pulì la cappella con il palmo della mano e rimise il cazzo nella fica che non aveva perso minimamente la sua rigidità.
Riprese a martellarmi. Impossibile quantificare gli orgasmi che avevo raggiunto, lui stava per venire e stavolta volle esplodermi in bocca. Me la riempì di sborra.
- non mandarla giù sputa e sciacquati. – aveva smesso i panni dell’amante e adesso mi parlava come un padre. Non voleva che la ingerirsi per non imbrattarmi anche l’anima così mi disse.
Sembrava pentito di quello che aveva fatto. Uomini così scrupolosi non li ho più incontrati.

Franco ed io uscimmo dall’autogrill ci dirigemmo verso le auto Tizio era appoggiato alla mia macchina.
Come sarebbe ripreso il viaggio?
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